A proposito di … – di Giuseppe Testa

… arrangiamento, banda, elaborazione, interpretazione, intonazione, orchestra, orchestrazione, parte, partitura, prova, revisione, riduzione, strumentazione, trascrizione.

Arrangiamento: inizialmente questo termine era sinonimo di trascrizione, strumentazione, orchestrazione; oggi esso indica l’adattamento di un brano musicale da una versione ad un’altra, ad esempio da un brano per pianoforte a un brano per orchestra o viceversa.
L’arrangiamento sottintende una certa alterazione dell’originale, che può essere minima o sostanziale, vuoi per “migliorarlo” (come si propose Mahler riorchestrando le sinfonie di Schumann), vuoi per evidenziare la personalità dell’arrangiatore (vedi la versione di Ravel dei “Quadri di un’esposizione” di Musorgskij).
Se il termine è riferito a musica popolare indica generalmente armonizzazione e adattamento (ad esempio per voce e pianoforte); nel jazz può essere scritto o orale: nel primo caso può avvenire una revisione talora radicale del brano, nel secondo si comunicano verbalmente tonalità, tempo,ordine degli assoli, accompagnamenti ecc.; vi sono anche esempi intermedi di esecuzioni che alternano parti scritte ad altre improvvisate. Dal jazz l’arrangiamento si è poi diffuso nel rock e nella musica leggera.
Storicamente l’arrangiamento risale agli inizi della polifonia: vedi le intavolazioni quattrocentesche di musica vocale arrangiata per liuto o tastiera. Nel XVI secolo la diffusione della stampa musicale contribuì ulteriormente ad ampliare tale processo al punto che, venivano pubblicate diverse versioni dello stesso brano contemporaneamente.
Col passare del tempo, la diffusione sempre crescente degli arrangiamenti diventa necessaria per ampliare il repertorio di un determinato strumento, come per esempio, molta musica per flauto dolce all’inizio del ‘700 e per chitarra e viola a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Nel ‘700 molti compositori eseguivano arrangiamenti di musiche altrui come pratica didattica. Bach arrangiò per organo brani orchestrali di Albinoni, Torelli e Telemann spesso modificandoli profondamente. Sempre Bach, ma soprattutto Haendel, usavano riarrangiare in diverse fogge le loro stesse opere, aprendo la strada in questa prassi a Haydn e Mozart.
Nell’800, gli arrangiamenti erano eseguiti dagli stessi autori, eccezion fatta per le trascrizioni per pianoforte e pianoforte a quattro mani di composizioni orchestrali, numerose prima dell’avvento della registrazione sonora. La loro destinazione era il consumo domestico o l’esibizione virtuosistica in concerto, vedi Liszt con le versioni pianistiche di composizioni di Beethoven, Wagner e Berlioz.
Nel XX secolo l’arrangiamento ha un nuovo compito, sempre più spesso, infatti, il materiale di partenza funge da ispirazione, vedi il lavoro sui canti popolari di Bartok, Britten e l’opera neoclassica “Pulcinella” di Stravinskij.
L’arrangiamento è comunque un’operazione che contribuisce a divulgare ad un vasto pubblico le musiche prescelte, ma attenzione perché può capitare che brani di grande valore artistico vengano sminuiti in arrangiamenti che trasformano il prodotto per solo scopo commerciale. Lo svilimento, in questo caso, è totale, essendo proposta all’attenzione della massa ignara una misera parodia di composizioni degne di un più alto rispetto. Per fortuna un controllo sugli arrangiamenti contemporanei è affidato alle leggi sul diritto d’autore che proibiscono di adattare senza autorizzazione materiale soggetto a copyright, anche se spesso vengono eseguiti arrangiamenti di note composizioni classiche i cui diritti sono scaduti, per il cinema e soprattutto per la televisione.

Banda: il termine indica un complesso musicale formato da strumenti a fiato, legni, ottoni e alcuni strumenti a percussione; parte di tali strumenti sono divisi per classi e suonano raddoppiandosi; raramente sono anche inclusi contrabbassi.
Gruppi strumentali a fiato sono già presenti nell’antichità e nel medioevo, ma la banda come la intendiamo oggi inizia ad apparire sul finire del ‘400. Naturalmente all’odierna formazione si è giunti lentamente: all’iniziale gruppo di ottoni e percussioni si aggiunsero i legni arricchendone così le capacità espressive. Il problema tecnico-acustico di dotare la formazione di una voce grave abbastanza potente e profonda fu risolto solo nella prima metà dell’800 con l’invenzione della tuba, nello stesso periodo fu introdotto il sassofono che consentì alla banda un’agilità e una duttilità di esecuzione impossibile alla vecchia formazione; un ulteriore potenziamento, la banda lo ricevette anche dai miglioramenti apportati agli ottoni con l’inserimento dei pistoni.
A differenza dell’orchestra, il cui organico fu stabilito dai compositori del XIX secolo, per la banda ogni paese europeo ha sviluppato un suo organico che varia per numero di esecutori, repertorio e funzione. L’organico che per il momento va per la maggiore per una banda da concerto in linea di massima è il seguente:

  • Legni: ottavino, flauto I-II, oboe I-II, fagotto I-II, clarinetto piccolo mib, clarinetto sib I-II-III, clarinetto contralto, clarinetto basso, sax alto I-II, sax tenore, sax baritono.
  • Ottoni: trombe sib I-II-III, cornetta I-II, corni fa/mib I-II-III-IV, trombone I-II-III, euphonium, tuba.
  • Percussioni: timpani, grancassa, piatti, tamburo rullante, tamburello basco, triangolo, xilofono, glockenspiel, campane tubolari, gong, batteria, ecc.

Non mancano tra le composizioni più recenti inserimenti di strumenti elettronici: chitarra elettrica, sintetizzatori e, in alcuni casi, anche del pianoforte.

Elaborazione: questo termine lo utilizziamo spesso per indicare la seconda parte della forma sonata, in cui si sviluppano i temi esposti nella prima parte.
L’elaborazione indica anche qualunque cambiamento o modificazione apportata all’originale: potremo così avere brevi aggiunte, omissioni, variazioni armoniche e ritmiche, lasciando comunque riconoscere il brano iniziale. E’ questa un’operazione alquanto delicata in cui è difficile definire i limiti, sconfinando a volte in operazioni che snaturano completamente la linea originale del brano, spesso volgarizzandola. E’ quindi compito di chi elabora, secondo il proprio gusto e nel rispetto dell’idea originale apportare le dovute operazioni di sviluppo e trasformazione di elementi che possono meglio caratterizzare il materiale di partenza.

Interpretazione: con questo termine possiamo intendere l’azione fisica compiuta dall’esecutore (mediante azione diretta se si tratta di cantante o strumentista, o indiretta se si tratta del direttore) di tradurre la scrittura musicale scritta in suoni per esternare le idee del compositore.
Partendo quindi dalla partitura scritta, l’esecutore cerca di decodificare tramite le proprie conoscenze artistiche-professionali e dell’autore le intenzioni di quest’ultimo.
Nel periodo che va dal medioevo al ‘700 ca., grazie all’improvvisazione estemporanea, alle varie pratiche di abbellimenti, alla pratica del basso continuo e quant’altro, abbiamo a che fare con la figura quasi sempre del compositore-esecutore.
L’interprete come lo intendiamo oggi si configura intorno all’800 e si collega strettamente alla formazione di un repertorio esecutivo, che trae dalla storia più o meno recente il senso della continuità con la produzione contemporanea. Ciò richiedeva all’esecutore la soluzione di complessi problemi, quali l’uso di strumenti diversi da quelli originalmente richiesti ( vedi Bach eseguito al pianoforte), una diversa tecnica strumentale e vocale (interi passaggi arricchiti di note verso il grave o l’acuto, o raddoppiati ad ottava), vistose modificazioni stilistiche ecc.
Tutto questo viene realizzato grazie al fatto che i maggiori interpreti del periodo sono anche compositori di alto livello. Nasce così nel periodo romantico il mito di una spirituale identificazione dell’interprete con il compositore che riesce a comunicare al pubblico commozione ed entusiasmo.
Un contributo al coinvolgimento veniva dal gesto esecutivo: dall’acrobatismo paganiniano, dal pianismo mirabolante alla Liszt, ma soprattutto dalla gestualità del direttore d’orchestra che incarnava la nuova figura del divo.
Numerose sono le linee che la pratica esecutiva dell’800 offre a questa figura di interprete che si protrae sino ai nostri giorni: il superamento di ogni rigidezza ritmica e metrica (il famoso “rubato”), il lirismo effusivo delle linee melodiche portanti, l’individuazione di punti nodali della composizione verso i quali tendere unitariamente le linee discorsive ecc.
Nel ‘900 quanto detto viene amplificato dai mezzi di comunicazione di massa e l’interprete ha maggior tendenza alla specializzazione, sia con la rinuncia all’attività compositiva, sia con le scelte di repertorio. Tutto questo divismo è comunque messo in discussione e combattuto dai compositori del ‘900: Strawinskij ad esempio ha negato l’utilità stessa dell’interprete: basta un esecutore che segua scrupolosamente le intenzioni dell’autore segnate in partitura.
Negli ultimi anni la crisi della figura dell’interprete viene accentuata e si configura sempre più, soprattutto per la musica “antica”, un tipo di esecutore filologicamente “oggettivo”, teso a recuperare gli ambiti di libertà improvvisatoria propria delle musiche antiche.
Sicuramente comunque il futuro ci regalerà altri esecutori interpreti che ci delizieranno con la loro bravura. A loro voglio ricordare una frase di Strawinskij: “A colui che aspira al prestigioso titolo d’interprete è di essere un’infallibile esecutore: il segreto della perfezione consiste anzitutto nella consapevolezza della legge che gli è imposta dall’opera che esegue”.