La banda musicale vista dai musicologi – Seconda parte

Continuiamo con la seconda intervista: assieme al prof. Paolo Emilio Carapezza parliamo di bande musicali, compositori, musica contemporanea

Il secondo incontro che ho avuto coi musicologi palermitani è stato con il professore Paolo Emilio Carapezza, docente di storia della musica dell’Università di Palermo – uno dei decani dell’Ateneo Palermitano -, compositore e scrittore. Ha frequentato gli studi di Darmstadt e insieme al prof. Titone ha fondato la rivista Collage e le Settimane di nuova musica.

Buongiorno Professore, e benvenuto su MondoBande.it. Innanzitutto un ringraziamento personale per avere accettato questa intervista e, poiché non tutti i nostri Utenti sanno chi è Paolo Emilio Carapezza, vorrei iniziare con una domanda quasi banale, ma obbligatoria:  come è nata la passione per la musica?
Buon giorno a lei, e agli Utenti del sito. Vede, nella mia famiglia c’è stata, e c’è tutt’oggi, la tradizione di avviare i ragazzi alla studio della musica. Così come fu per i miei genitori e i miei fratelli, all’età di nove anni presi lezioni di pianoforte e non l’ho mai più lasciato. Dopo la maturità classica mi iscrissi contemporaneamente all’Università, in lettere classiche, e  in Conservatorio, nella classe di composizione. Il mio interesse per la musica ha coinvolto anche le mie scelte accademiche, perché la mia laurea era incentrata sulla musica dei Greci antichi. Nel contempo andavano avanti gli studi di composizione, con Sollima a Palermo, e poi a Roma con Domenico Guaccero. Fondamentale per la mia vita di studioso e compositore è stato il contatto, che ho avuto per due anni nelle estati 1960 e 1961, con uno dei più grandi compositori del XX secolo, Bruno Maderna. Egli teneva i corsi di composizione a Darmstadt, a lui feci vedere le mie composizioni; si è molto interessato al mio stile e mi disse:  “Se vuoi continua, ma prima ti devi fermare e studiare a fondo la musica del XVI sec, -Villaert, Wert, Monteverdi e la teoria di Zarlino-”. Lui ha fatto con me quello che ha fatto con i suoi allievi, vale la pena ricordare che  il suo primo grande allievo fu Luigi Nono. Questo suo metodo didattico non lo aveva inventato lui, ma lo aveva appreso da Gianfrancesco Malipiero, il più grande dei compositori italiani della prima metà del XX sec., compositore di smisurata grandezza oggi purtroppo dimenticato. Malipiero con Maderna, e Maderna con Nono e tutti noi altri, utilizzarono questo metodo: studiare la musica del culmine della nostra civiltà, ossia la polifonia del rinascimento maturo. Così io seguii i suoi consigli, fermandomi e iniziando a studiare sempre di più la polifonia rinascimentale. Ad un certo punto mi sono accorto che i grandi tesori ce li avevamo proprio qui in Sicilia. Nel periodo a cavallo tra il 1550 e il 1600 c’era stata in Sicilia una straordinaria fioritura di compositori, massimi fra essi Antonio il Verso, Pietro Vinci, Claudio Pari e Sigismondo d’India, e talmente mi sono dedicato allo studio di questi compositori che per un periodo ho messo da parte la musica contemporanea, anche la mia. Così sono nati i filoni principali di ricerca della mia vita che sono tre: quello sulla musica della Grecia Antica; in ordine cronologico, quello sulla musica contemporanea; quello sulla musica del rinascimento. Se consideriamo la storia della musica come il globo terrestre, sarebbero i due poli e l’equatore. Tra l’altro, il nostro Istituto ha pubblicato ben 25 grandi volumi di Musiche Rinascimentali Siciliane.
Lo studio della musica della Grecia antica ha fruttato un libro in cui ho dato un’edizione pratica, (“Antiche Musiche Elleniche”, un testo dove sono riportati tutti gli interventi, articoli, dispenze del prof. Carapezza riguardo questo argomento, con testi originali in lingua greca e traduzioni e musiche dello stesso prof. NDA) attraverso il quale possono essere eseguite le musiche greche antiche che ci sono giunte con la notazione melica, incise su CD ed eseguite dallo studio di musica antica “Antonino il Verso”, che sono diventate il repertorio più suonato da questo ensemble, portato in moltissime città italiane e anche all’estero come a Ginevra.
La musica contemporanea l’ho continuata a studiare, ma soprattutto ho continuato a dare l’aiuto e l’assistenza che potevo a chi, fra gli allievi dell’Istituto, era interessato e si metteva a comporre. Il primo di questi è stato proprio Salvatore Sciarrino. Egli frequentava questo Istituto già a 12 anni, e si è formato sia dal punto di vista teorico, in quanto con Rognoni studiava la musica fra il 1700 e il 1800, con me quella rinascimentale, oltre che la trascrizione della musica rinascimentale. – Dopo di lui sono venuti altri giovani dotati di talento, forse il compositore più importante è stato Federico Incardona, non solo grandissimo compositore, ma anche grande uomo di immane generosità, che a Palermo ha formato una scuola  tutt’oggi vitalissima. Ci sono oggi studenti che non l’hanno neppure conosciuto, in quanto è morto prematuramente più di 2 anni fa, e questi studenti stanno producendo una straordinaria quantità di studi che insegnano molte cose, anche a me. Non c’è cosa più  bella per un insegnante: vedere un discepolo che diventa più bravo di lui,  capisce qualcosa di più dell’insegnante stesso.

Lei è uno dei primi discepoli di Luigi Rognoni, una figura di grande importanza per il mondo della musica italiana: che ricordo ha di lui?
(Luigi Rognoni – Milano 1913-86 – Musicologo, regista, direttore d’orchestra,  fu fra i primi a introdurre le nuove avanguardie in Italia, organizzando lezioni, seminari e esecuzioni radiofoniche di opere di Mahler, Schoenberg, Berg e Webern; a lui si deve la traduzione del manuale di Armonia di Schoenberg e una monografia su Rossini. NDA)
Con Luigi Rognoni io ho avuto un rapporto didattico che poi è diventato filiale. Siamo diventati molto amici e d’altra parte la scuola di Luigi Rognoni siamo noi, quella palermitana. Ha insegnato per ben 12 anni a Palermo, gli anni del suo massimo vigore intellettuale. Nell’anno accademico 1957/58 ha fondato l’Istituto di storia della musica, io ne sono stato il diretto successore. Si trasferì a Bologna nel 1970, anno in cui vi fu fondato il primo DAMS d’Italia, divenendone il primo insegnante di storia della musica: anche qui, fui il suo successore.
I rapporti sono poi susseguiti in modo molto intenso fino alla sua morte, e proprio un anno prima che lui morisse gli abbiamo dedicato un volume della nostra collana “Punctam” dal titolo “Sette variazioni. Musiche e studi dei discepoli palermitani a Luigi Rognoni” che si apriva con una composizione del prof. Nino Titone e si chiudeva con una composizione di Salvatore Sciarrino, il primo dei grandi compositori formatisi in questo in Istituto per ordine cronologico.

Palermo e la Sicilia hanno avuto, come abbiamo appena avuto modo di vedere, grandi compositori, riconosciuti tali in tutto il mondo: uno degli ultimi è il compianto Federico Incardona, che scrisse una composizione per soli fiati intitolata “Levante”, interessandosi anche lui del mondo fiatistico. Secondo lei Incardona cosa ha dato di importante nel mondo musicale?
Incardona (1958 – 2006, NDA ) si innesta sulla grande corrente dell’espressionismo viennese, che lui recepisce sia direttamente con gli studi che faceva qui in Istituto attraverso lo studio dei classici, sia tramite la conoscenza dei principali compositori italiani. Incardona era bambino quando c’erano gli studi di Darmstad, aveva poco più di 2 anni, però il fervore delle “Settimane di nuova musica” è rimasto in Istituto, il fuoco qui covava sempre. I principali compositori italiani e stranieri sono rimasti in contatto con l’Istituto, per esempio Kagel e Stockausen per gli stranieri, Sylvano Bussotti, Luigi Nono, Francesco Pennisi, Salvatore Sciarrino e molti altri ancora fra gli italiani; venivano spesso a tenere seminari, sicché Incardona ha potuto conoscerli direttamente. Importante poi è stata la frequentazione del massimo teorico contemporaneo, Heins-Klaus Metzger, uno dei primi ad avere a Palermo la laurea Honoris causa.
La musica di Incardona è fortemente originale perché, come tutti i grandi compositori, da un lato c’è un forte radicamento alla tradizione, dall’altro lato c’è una capacità inventiva fantasiosa, e una sensibilità ai segni dei tempi: per cui è la musica più fresca, fragrante e ricca di senso che si possa avere. La sua musica è fondamentalmente comunicativa perché è costituita come un discorso di parole, e precisamente, per via filogenetica, attinge alla stessa costituzione dell’antica musica ellenica.

Un altro compositore contemporaneo, amico di Federico Incardona, è Gilberto Cappelli, a cui è stata dedicata un settimana di studi e una mostra di pittura nel nostro dipartimento, e che ha composto un brano per banda, “Suoni”. Ci sono altri casi di compositori contemporanei che hanno dedicato studi agli ensambles di fiati?
“Suoni” è il capolavoro di Gilberto Cappelli. Recentemente, un giovane che si è formato qui, oltre ad aver dedicato una tesi di laurea ai compositori palermitani degli ultimi quarant’anni, ha scritto la tesi di dottorato su questi due compositori: Gilberto Cappelli e Federico Incardona.  Tutti e due sono stati molto attenti a qualunque tipo di formazione strumentale e soprattutto ai fiati. Non a caso il suo capolavoro è proprio questo brano per banda. Federico ha scritto musica per fiati, sia perché questi strumenti per lui sono fondamentali in quanto, data la forza espressiva della sua musica, lo strumento a fiato è quello che più direttamente produce l’animo del suono. E poi lui era come Mozart, ossia scriveva la musica per le persone. Si racconta la differenza per Mozart e Beethoven: quella di Mozart era scritta proprio per determinate voci. Man mano che lui componeva le opere, sapeva prima chi doveva cantarle e le componeva su misura per le loro voci.
Lo stesso faceva Federico. L’importanza per esempio del sassofono, è data dal fatto che essendoci un grande virtuoso di sax a Palermo, Gaetano Costa, per lui scrisse molte opere. Così come scrive per uno strumento rarissimo, il flauto diritto contrabbasso, perché c’è uno straordinario virtuoso catanese, ora docente a Basilea, e questo strumento è altro quasi tre metri, e anche Francesco La Licata (compositore e direttore del gruppo “Zephiro Ensamble”, NDA) ha composto un’opera per teatro musicale imperniato su questo strumento.

Il 27 luglio  ad Abbadia S. Salvatore si è svolto un evento importante: è stato eseguito “Accordo” di Luciano Berio per 4 bande. Come mai molti compositori cosiddetti colti non hanno avuto interesse verso la banda musicale?
Berio è stato un grande compositore, e anche molto versatile. Fra i suoi brani ve ne sono molti in cui non è difficile trovare dei temi popolari elaborati alla sua maniera. Immagino che questa domanda voglia mettere in evidenza come compositori di una certa rilevanza abbiano preso in considerazione questa formazione.  La banda non può lamentarsi, in quanto grandissimi compositori contemporanei hanno avuto attenzioni per questo organico. Nei nostri dialoghi sono emersi grandi nomi, lei citava Gustav Holst e Rimisky-Korsakov (n.r.), io aggiungo  invece altri contemporanei come Henryk Mikolaj Gorezcky e  Salvador Ranieri, tanto per citare compositori ancora viventi. Gorezcky nasce nel 1933 e Ranieri nel 1930, il primo polacco, il secondo calabrese naturalizzato in Argentina e  oggi uno dei principali compositori argentini. Questi due compositori non solo hanno dedicato numerose composizioni alla banda, ma si sono proprio formati nella banda dei loro paesi. Uno dei più importanti compositori palermitani, Turi Belfiore, l’unico che Sciarrino riconosce come maestro diretto, si è formato anch’esso in una banda.
Questo perchè le bande avevano e hanno ancora una funzione fondamentale, ossia essere scuola di musica. Spesso il maestro di banda era anche il maestro di cappella, e questo specialmente nelle città siciliane: avviene un unione personale della stessa figura, che è maestro della banda e maestro di cappella del duomo della città, e anche il maestro di musica che dà lezioni private ai figli delle famiglie più agiate. Nel mio paese, Petralia Sottana, il primo che fa questo fu Vincenzo Tobia Bellini, nonno del più grande Bellini, che ci lascia una raccolta di 12 sonate, anche se l’originale non si sa che fine ha fatto, e sono 12 stupende sonate in stile galante. Questo Vincenzo Tobia Bellini compose anche oratori, opere per teatro musicale sacro, che si rappresentavano nel duomo con organici ridotti; purtroppo di questi non ci rimane la musica ma solo i libretti manoscritti. Questa tradizione è continuata nei secoli. Per esempio, il maestro che insegnò pianoforte a mia mamma, che mi dedicò una ninna nanna quando ero nato,  era anch’egli maestro di Cappella al Duomo e Maestro di Banda. Quindi le bande sono state le scuole di musiche più diffuse nel Meridione d’Italia; tutte le cittadine di una certa rilevanza avevano una banda di un certo livello, e anticamente queste bande hanno primeggiato: famosissime erano quelle di Canicattini Bagni e Palazzolo Acreide che vinsero diversi premi, e spero che queste tradizioni continuino.
Lei citava il caso di Berio che ha composto per 4 bande, ma a Palermo una cosa simile si è verificata quando il CIMS, fondato dal professore Antonino TItone, ha organizzato un grande convegno sulle bande. E oltre agli oratori, c’erano 4 bande siciliane che suonavano come devono suonare le bande, perché il fascino delle bande è il movimento, le bande devono suonare per le strade della città. Questo è quello che le distingue dalle orchestre sinfoniche: tutti gli strumenti si possono e si devono suonare camminando. La città di Palermo, per una settimana,  è stata allietata da queste musiche, e alla fine queste bande, da 4 strade diverse, sono confluite davanti la chiesa della Martorana, e davanti al teatro Bellini hanno suonato assieme.

Diversi i nomi importanti che hanno scritto per banda o gruppi di fiati, Mozart, Berlioz, Schoenberg, Stravinsky, tanto per citare qualche nome. Come mai la banda non riesce a emergere nel contesto della musica colta? Cosa impedisce di fare quel passo, potendo distaccarsi dal contesto popolare?
La banda, come il jazz, ha una funzione di mediazione tra la musica popolare e la musica colta: cioè, anche la banda è musica colta, ma ha proprio questa funzione di raccordo, e questa è una funzione importantissima e preziosissima.

In questo ultimo periodo, la banda sta vivendo un’evoluzione. Si tende a concepire la banda non più come gruppo che sfila, ma come un’orchestra di soli fiati, dove vengono integrati a volte gli archi gravi, e numerose percussioni: questo secondo lei è positivo o no?
Il fatto che la banda non abbia gli archi è un deficit, una minorazione, ma che secondo me  viene compensata proprio dal fatto che può muoversi. Per me il fascino fondamentale della banda è questa dinamicità, correre come argento vivo per le vie della città. Anticamente, nei paesi siciliani, c’erano uno strumento fisso, l’organo in chiesa, e uno strumento che come il sangue correva, e che era la banda. Secondo me questa proprietà deve essere mantenuta, altrimenti tanto vale fare un’orchestra sinfonica, invece di prendere una banda e aggiungere due contrabbassi o due violini e farne un’orchestra sinfonica minorata.

Lei è oggi una persona matura, molto apprezzata nel panorama musicale internazionale: ha ancora un sogno nel cassetto?
Un sogno si è avverato a metà. Sin da quando ho fatto la testi di laurea sulla musica greca, è stato quello di far risuonare questa musica. Ora spero che questo si possa fare con gli strumenti antichi, perché deve essere eseguita con strumenti  rinascimentali: speriamo di poterne ricostruire alcuni proprio sul modello di quelli che si conservano in Sicilia e in tutta l’Italia meridionale.
Altro sogno, più importante, è quello che in questo Istituto si formino tanti altri compositori della grandezza di Sciarrino, Incardona e Giovanni Damiani.

Che consiglio può dare ai giovani che attraverso il mondo della banda intraprende il suo percorso musicale?
Io esorto a entrare nelle bande musicali, ad usufruire di queste scuole di musica che poi possono essere o dei luoghi dove rimanere tutta la vita, o luoghi di iniziazione per poi proseguire lo studio della musica ognuno secondo la propria vocazione e secondo le proprie possibilità.

La ringrazio per la sua disponibilità, è stato un piacere averla nostro ospite.
Ringrazio lei per questa intervista, saluto e faccio i miei migliori auguri a tutti gli Utenti del vostro sito e tutti i musicisti delle bande italiane.

(a cura di Giuseppe S.)