“A proposito di…” – di Giuseppe Testa

Tecnica direttoriale e dintorni (terza parte)

Bene, ritorniamo ai nostri esercizi, qualcosa non corrisponde a quanto detto finora? Non preoccupatevi, controlliamo se abbiamo le carte in regola per questo strumento umano (orchestra, banda, ensamble…) che un aspirante direttore si appresta a guidare.

BASI

  • musicalità del direttore
  • orecchio e facoltà di discernere i differenti elementi di un impasto sonoro
  • rappresentazione mentale della musica – ESSENZIALE
  • dominio delle forme e tecniche musicali della composizione
  • realizzazione degli schemi ritmici, melodici ed armonici d’un’opera
  • capacità di esprimere il tutto con il gesto

RICORDIAMO

  • il naturale punto di partenza dei gesti del direttore
  • posizione del direttore e funzione della mano destra e sinistra
  • gesti fondamentali nei vari tempi – gesto neutro
  • chiarezza dei gesti di direzione: GESTO (preciso ed inequivocabile)
  • la tecnica applicata della direzione d’orchestra – efficacia dei gesti – legato, staccato, forte, piano, rallentando, accelerando, suddivisione, fraseggio…
  • gesto d’attacco con o senza preparazione nei ritmi – tetico, anacrusico, acefalo
  • gesto di sospensione, la corona, il gesto di chiusura
  • gesto preparatorio applicato al motivo
  • gesto quale espressione diretta del suono immaginato

METODO

  • all’inizio cantare ciò che si dirige; poi il canto diventa interiore; poi ogni suono immaginato si converte in gesto
  • sviluppo dell’orecchio interno – imparare a rappresentare mentalmente quello che si trova sul pentagramma, riproducendolo con la voce
  • dirigere inizialmente una frase musicale a memoria tenendo conto nella rappresentazione mentale di tutte le componenti (melodia, ritmo, armonia, ecc.).
  • sviluppare esercizi per l’articolazione della melodia attraverso il ritmo e l’armonia
  • educazione al senso ritmico – suddivisione dell’unità di misura contando ad alta voce senza modificare il “tempo”
  • articolare le differenti suddivisioni contando il movimento
  • segnare il movimento cantando i vari raggruppamenti

FASI DI STUDIO

  • studiare la partitura dal punto di vista compositivo
  • aspetto tecnico della partitura – memorizzare ogni gruppo strumentale
  • memorizzare fraseggi, accenti, dinamiche…
  • studio dei problemi interpretativi dal punto di vista tecnico della direzione
  • studio dei problemi tecnici degli strumenti e delle risorse tecniche di ciascuno d’essi
  • dirigere fissando nella fantasia la disposizione strumentale davanti a sé
  • proiettare la sonorità immaginata localizzandola in punti precisi dello spazio
  • proiettare gesto e sguardo verso un luogo preciso della disposizione strumentale in cui sono disposti sezioni o soli che vanno particolarmente diretti

Risulta evidente da quanto detto, che un bravo direttore deve sempre avvicinarsi ad una composizione tenendo presente due fasi di studio. La prima fase preliminare, di studio dettagliato a tavolino in cui si raggiunge una perfetta ricreazione mentale della composizione in tutti i suoi parametri. La seconda fase di realizzazione di ciò che si è immaginato, facendo vivere il brano attraverso gli esecutori.

Ecco cosa scrive in proposito H. Scherchen nel suo “Manuale del direttore d’orchestra”:
“Dirigere un’opera vuol dire: plasmare ciò che s’è udito nello spirito con definita perfezione, convergere questa forma ideale d’audizione interna in modelli sonori che riflettono con fedeltà quella perfezione. E’ necessario plasmare, dominare la materia, il suono, darle una forma che si adatti a quel modello ideale udito nell’intimo: questo significa dirigere.
(…) Quando impugnerà la bacchetta e s’incontrerà con l’orchestra, la sua formazione tecnica deve essere perfetta; non solo deve dominare tutti i procedimenti manuali dell’ufficio, ma deve già esser anche, e soprattutto, in condizioni di subordinare l’immagine sonora effettiva che gli dà l’orchestra alla rappresentazione ideale che porta dentro sé stesso…la rappresentazione mentale dell’immagine sonora, da parte del direttore, e la sua proiezione effettiva, da parte dell’orchestra, devono formare, nell’atto di dirigere, un’indivisibile unità.
(…) La formazione teorica e pratica del futuro direttore deve essere accompagnata da una sorte di studio pratico, sommamente intenso, riguardante la composizione musicale. Devono correre paralleli con i suoi studi tecnici di direttore d’orchestra, esercizi di composizione musicale che arrivino ad abbracciare tutto il campo della composizione sinfonica. L’obiettivo principale perseguito da questo studio è arrivare a scoprire la dinamica interna secondo la quale si articola, in ogni opera, la sua melodia, la sua armonia, il suo ritmo e l’architettonica struttura. Solo così potrà raggiungere una profonda conoscenza dell’opera e gli sarà possibile riprodurla con fedeltà al suo proprio canone organico, che è ciò che gli detterà con totale determinazione, il “tempo”, lo stile e la tecnica riproduttiva aderente alla sua essenza. Premessa necessaria per questo è una conoscenza completa di tutte le parti della teoria della composizione musicale”.

Bene! Una domanda dopo tutto quello che abbiamo detto nasce spontanea, soprattutto alla stragrande quantità di direttori che operano in ambienti amatoriali. Dopo aver acquisito le basi tecnico-professionali e le capacità di esternarle, quanto incide su un esecuzione di un bravo direttore il rapporto umano con gli strumentisti? A tal proposito voglio citare lo stralcio di una relazione per un seminario dell’ ANBIMA Veneto (Verona,1984) del maestro Fulvio Creux, con il quale ho avuto l’onore e il piacere di studiare:
“(…) Se in orchestra è sufficiente mantenere questo rapporto nell’ambito della correttezza e del rispetto dei diversi ruoli, in banda questo aspetto deve essere curato con particolare attenzione. Un direttore d’orchestra, per esempio, si trova di fronte professionisti capaci di seguire ogni minima sfumatura delle sue espressioni; avrà quindi meno necessità di dialogo, tanto più che, terminate le prove ed il concerto (di solito nel giro di una settimana) se ne va in un’altra città con un altro complesso. In banda bisogna essere vicini agli esecutori, capire e prevenire i loro problemi…E’ necessario quindi un rapporto umano non solo durante la prova ma anche prima e dopo: il dialogo deve essere costante…Bisogna considerare che per molti la prova è frutto di passione ma costa sacrificio, dopo, magari, una giornata di lavoro. Quanto detto non significa certamente che bisogna passare sopra l’errore e non correggerlo: bisogna, anzi essere inflessibili su questo. Il senso del mio discorso è quello di “come” correggere, di “come” guidare ad una corretta esecuzione; non insuperbendosi della propria preparazione e guardando dall’alto in basso ma considerando che questa preparazione (e non solo quella musicale, ma se necessita anche quella umana) deve essere messa a disposizione degli esecutori”.

Altro grande direttore è Hebert von Karajan, che dal suo podio è avaro di gesti e di parole. Il legame che si stabilisce fra un direttore e l’orchestra che sta dirigendo è fortissimo e sembra quasi medianico. Le mani di Karajan che si muovono senza enfasi non scandiscono il tempo ma tendono piuttosto a suggerire o a sottolineare l’andamento della frase musicale. Il maestro ha teorizzato più volte questo suo modo di dirigere, che potrebbe sembrare confuso: “Ci sono direttori che dirigono note, battute, indicazioni dinamiche. Questa però non è musica. Per dirigere davvero occorre dimenticare le note, essere capaci di far nascere un quadro complessivo dai flussi dinamici che percorrono una partitura. Mentre dirigo io ho sempre in mente un periodo nella sua totalità, non mi attengo mai alla singola nota o battuta”.

Sentiamo adesso, prima di concludere, quello che afferma a proposito del direttore I. Strawinsky nella sua “Poetica della musica”:
“…La musica romantica ha gonfiato smisuratamente la personalità del Kapellmeister, sino a conferirgli, con il prestigio di cui gode al giorno d’oggi su quel podio che è soltanto suo e lo indica allo sguardo del pubblico, un potere discrezionale sulla musica affidata alle sue cure. Appollaiato su quel tripode sibillino, egli impone alle composizioni che dirige i suoi movimenti, i suoi coloriti particolari, ed è indotto a parlare con candida impudenza delle sue specialità, della sua Quinta, della sua Settima, come un cuoco che vanti un piatto di sua fattura. Sentendolo parlare, si pensa ai cartelli che raccomandano una tappa gastronomica: “Dal tale, la sua cantina, la sua cucina”.

Nulla di simile esisteva un tempo, in epoche che tuttavia conoscevano già come la nostra l’arrivismo e la tirannia dei virtuosi, suonatori o prime donne, ma che non soffrivano ancora di codesta concorrenza e pletora di direttori d’orchestra, i quali aspirano quasi tutti alla dittatura della musica. Non crediate che io esageri: un aneddoto che mi è stato raccontato alcuni anni or sono dimostra benissimo l’importanza che il direttore d’orchestra ha finito con l’assumere nelle preoccupazioni del mondo musicale. Riferivano un giorno a un tale, preposto ai destini d’una grande agenzia di concerti, il successo riportato nella Russia Sovietica dalla famosa orchestra senza direttore, Persimfans (primo complesso sinfonico): “Ciò non significa nulla, dichiarò quel tale, e non mi interessa. Quel che m’interesserebbe, non è l’orchestra senza direttore, ma il direttore senza orchestra…”

Certo è un grave errore a mio parere rendere il direttore un mito, ma bisogna comunque riconoscergli delle responsabilità maggiori rispetto al singolo strumentista, proprio in virtù di quanto detto precedentemente a proposito della sua preparazione e della sua visione globale della composizione. Esistono sicuramente le dovute eccezioni, spesso un direttore scadente con dei bravi strumentisti ottiene un esecuzione accettabile, ma un bravo direttore, a capo di esecutori non molto dotati, quanta buona musica e quante emozioni riesce a regalare al pubblico!? E pensate per un istante un bravo direttore e dei grandi musicisti… che goduria per le nostre orecchie…

Ricordiamoci comunque, cari direttori (o aspiranti tali), che la musica va sentita sicuramente con le orecchie, ma bisogna anche farla gustare con gli occhi, soprattutto ad un occhio esperto che segue e valuta ogni minimo gesto del direttore. Ricordiamoci quindi di servire l’arte musicale con molta umiltà, e di mettere sempre al servizio degli altri le proprie conoscenze. Per esperienza posso dire che un direttore ha davanti a sé sempre un inizio, la conclusione in questo lavoro non esiste, c’è solo l’inizio, ogni esecuzione è un inizio da cui si avvia un nuovo lavoro, un nuovo percorso, una nuova crescita, una nuova ricerca, che nonostante le difficoltà, riserva anche soddisfazioni. Lo studio è l’investimento più grande, e l’investimento a lungo andare ripaga pienamente.

Quindi rimbocchiamoci le maniche e… ricordiamoci la teoria delle tre “S” : studiare, studiare e studiare.

BIBLIOGRAFIA

  • I grandi direttori d’orchestra di Enrico Stinchelli – Gremese editore
  • La gioia della musica di Leonard Bernstein – edizioni Longanesi & C.
  • L. Bernstein. Una vita per la musica di Enrico Castiglione – edizioni Logos
  • La Repubblica supplemento n°136 del 10/6/1987
  • Enciclopedia microsoft (R) Encarta ® 98
  • Risveglio Musicale 3/98
  • Manuale del direttore d’orchestra di H. Scherchen – edizioni Curci
  • Poetica della musica di I. Strawinsky – edizioni Curci
  • Banda e dintorni di Fulvio Creux – edizioni Santabarbara