Incontro ravvicinato col Sistema Americano
Le differenze tra Italia e USA: il valore Culturale e Formativo ricoperto dalla musica all’interno del sistema di istruzione negli States
Che il sistema Americano di istruzione musicale, e l’inserimento delle bande in esso e all’interno delle scuole, rappresenti l’avanguardia rispetto al nostro sistema “artigianale” italiano, è un concetto che si sa, si conosce e che torna d’attualità ogni qual volta abbiamo l’occasione di ospitare presso le nostre bande qualsiasi direttore o insegnante americano.
Correva l’anno 2001, quando frequentavo il corso di direzione organizzato dal Coordinamento delle Bande della Provincia di Cremona. All’interno di quello specifico corso, oltre alle nozioni di tecnica della direzione, repertorio, strumentazione ed analisi, vennero inserite due nuove “voci”, che non si erano mai viste nei corsi precedenti. La prima: lezione sul “modello Americano”, docente il Maestro Giancarlo Aquilanti, italiano di Jesi trapiantato alla Stanford University per insegnare composizione. La seconda: stage intensivo di tre giorni a fine corso, docente il Maestro Ronald W. Johnson, Università del Nord Iowa (USA), a quei tempi totalmente sconosciuto ai più.
Fatto sta che tutti, chi più e chi meno, negli ultimi anni abbiamo avuto modo di riflettere su quanto il sistema americano di formazione musicale sia “avanti”, e su quanto (di riflesso) sia alquanto arretrato il nostro.
Il vero problema, da noi, sta nel fatto che la formazione musicale è al di fuori del ciclo scolastico; tutti (o quasi) gli operatori professionisti del settore, soprattutto quello bandistico, sono d’accordo su questo. E allora nascono progetti, spesso troppo limitati nel tempo, per avvicinare gli alunni delle scuole inferiori alla musica, alla banda, ad uno strumento.
La “visione da lontano” dell’American System ci ha portati a riflettere, a pensare, a mettere in campo le nostre risorse, a cercare di muovere qualcosa. Sì, muovere qualcosa per nostro conto, senza (o quasi) il sostegno delle Istituzioni, siano esse politiche (come le amministrazioni) o culturali più direttamente interessate (come le scuole di musica ed i conservatori).
Tutto questo è rimasto il mio personale concetto, di quella che poteva essere una embrionale applicazione del sistema americano in Italia. Fortunatamente alcune case editrici, quelle meno “commerciali” e più lungimiranti ed attente in un certo senso alla qualità, ci aiutano in questo, mettendoci a disposizione gli stessi testi che, in maniera ovviamente molto più organica, il sistema americano utilizza. I vari “Standard of Excellence” e “Accent on Achievement” (per citare solo i più diffusi) hanno effettivamente smosso qualche cosa, rispetto a quando il sottoscritto era un giovanissimo allievo della scuola di banda del paese, che studiava corno con un insegnante di tromba, e che andava alla banda solo perché c’era una flautista carina nell’aula accanto…
L’approccio alla musica di insieme “da subito” ha effettivamente portato ad una diversa concezione della scuola di musica da parte degli allievi (sempre ai “miei” tempi, come a quelli di molti che leggono, si dovevano fare mesi e mesi di Bona – pace all’anima sua!!! – prima di iniziare a soffiare nel tanto agognato tubo) e questo è sicuramente il primo “effetto benefico” dell’importazione da oltreoceano.
Tutto ciò, fino ad ora, mi ha fatto credere che siamo sulla strada buona, che il cambiamento è finalmente in atto, che le esperienze portate da Aquilanti e Johnson iniziano finalmente a dare i loro frutti.
Fino a quando? Fino a quando una e-mail di Ronald Johnson che, come è noto, nel frattempo ha frequentato molto l’Italia e le sue bande, e con il quale dopo quel corso nel 2001 non ho più interrotto i contatti sia amichevoli che di studio, mi chiede: “pensi che la tua conoscenza dell’inglese sia sufficiente per gestire una banda di 90 elementi provenienti dalle High School – quelli che in Italia chiamiamo licei – per 3 giorni di prove (prove serie) e il concerto finale del nostro Festival?”.
Beh, per un direttore che ha sempre guardato all’America come al “paese dei balocchi” era un’occasione da prendere al volo! Il Northern Festival of Bands della University of Northern Iowa, è un evento molto importante negli Stati Uniti, e finalmente c’è la possibilità andare a toccare con mano, dal vero, direttamente, il Famoso “Sistema Americano”.
E cominci a pensare a quando ti troverai di fronte a 90 ragazzini di 17/18 anni, che NON parlano e NON capiscono la tua lingua (per poi scoprire che la frase fatta della “musica come linguaggio universale” ha effettivamente il suo perché…), ai brani che dovrai scegliere, al volo, al viaggio, a come incastrare una settimana in America con il lavoro che hai in Italia, a cosa mangerai…
E quando arrivi là, scopri che quelli sono veramente avanti anni luce.
Al di là della mia partecipazione come direttore ospite al Festival, dove una banda di diciottenni, che da noi sarebbe né più né meno una “Junior Band” secondo gli standard dettati dai regolamenti dei concorsi, è stata in grado, in soli 3 giorni di prove, di preparare un programma che per la maggior parte delle bande italiane “senior” è pura e semplice fantascienza, con brani di Hidas e Ticheli, e la prima esecuzione di “Kebek” di Jan van der Roost, la cosa che lascia assolutamente a bocca aperta è il valore Culturale e Formativo che la musica ha all’interno del sistema di istruzione Americano.
Tanto per cominciare, nell’università ci sono due Bande (la Symphonic Band e la Wind Symphony), un’Orchestra Sinfonica di un’ottantina di elementi, e 5 (!!!) cori, oltre a numerosissimi gruppi cameristici, dal coro di flauti, all’ensemble di tuba ed euphonium, al gruppo di corni, ai gruppi jazz e da camera più disparati…
E qui il primo stupore: non sono solamente gli studenti delle discipline musicali a partecipare a tutta questa attività musicale, ma moltissimi studenti, che hanno semplicemente inserito la musica nel loro piano di studio di ingegneri, o avvocati o medici, fanno parte dei diversi gruppi. A parte la Wind Symphony (che è composta solo dagli “specialisti”), tutti gli altri gruppi sono costituiti in larga parte da non-musicisti (quelli che qui da noi sarebbero i “giovani dilettanti”), che si trovano una volta o due volte a settimana per le prove, e fanno i loro concerti all’interno dell’università, e che seguono regolarmente (cosa impensabile in Italia) anche le lezioni di Storia della Musica, oltre a quelle relative al loro strumento.
Quindi, alla fine, c’è un’ “orchestra di fiati” di livello professionale, e tanti gruppi che (con le dovute proporzioni riguardanti il tipo di formazione) possiamo definire “amatoriali”, esattamente come in Italia.
E allora, dov’è il punto di forza dell’American System?
Credo che il punto stia nella grande valenza Formativa che si dà alla Musica: ogni grado dell’istruzione ha al suo interno i corsi musicali, la banda, i gruppi da camera, ecc.. La cosa più importante è che gli obiettivi da raggiungere, per ogni ciclo di studi, sono codificati e prestabiliti a livello Nazionale: non importa il “come”, quello che interessa è il raggiungimento degli obiettivi.
Proviamo a fare un paragone con quanto accade in Italia, dove ogni banda ragiona per sé, sia per quanto riguarda l’attività concertistica, che per quella didattica: molti degli insegnanti in Italia non sono qualificati per insegnare (in quante bande abbiamo ancora il “factotum” che insegna tutto, dal clarinetto alla batteria, passando per trombone e corno…); non ci sono obiettivi comuni, non c’è programmazione, non c’è conoscenza del repertorio, e la maggior parte dei direttori sceglie la musica da eseguire semplicemente scartabellando negli archivi delle bande dei dintorni.
In Provincia di Brescia, rispetto ad altre aree geografiche nazionali, siamo molto fortunati! Le bande dove si lavora “a pressappoco” sono rimaste poche, l’eredità lasciata dal Grande Ligasacchi fortunatamente si fa sentire, l’organizzazione delle “accademie” nella maggioranza dei casi funziona, e la formazione dei giovani strumentisti passa attraverso insegnanti per lo più validi e preparati, che (tranne per alcuni casi eclatanti di classi realisticamente disastrose) hanno avuto dal Conservatorio Cittadino una formazione adeguata.
La cosa da far capire, per tentare (e sottolineo “tentare”) di avvicinarci ad un sistema efficace come quello americano, è che la Banda non è la “Cenerentola della Musica”, come tutti gli “accademici” che si riempiono la bocca di paroloni pensano, ma piuttosto è un luogo in cui innanzitutto gli allievi del Conservatorio hanno occasione di trasmettere ciò che hanno imparato, e di esibirsi in quello per cui hanno studiato, vista la carenza sempre più diffusa di orchestre “vere”.
Se si capisse che non esistono solamente Brahms e Schumann, ma che ci sono anche Grainger, Persichetti, Hidas e tanti altri compositori che richiedono la stessa maturità interpretativa; se si avesse l’elasticità mentale per comprendere che la Musica (quando ha la “M” maiuscola) prescinde dal tipo di ensemble che la propone, allora, forse, si inizierà a fare qualche passo avanti, e il lavoro di tanti compositori, direttori e strumentisti preparati, che hanno fatto della Banda la loro scelta di vita, avranno finalmente una qualche gratificazione, senza restare relegati nella “serie B della musica”, e a quella componente cattiva della invece tanto nobile amatorialità che contraddistingue il mondo Bandistico, e che consente alla musica di raggiungere veramente la gente. Amatorialità che è presente, in modo più dannoso rispetto alle bande, anche nel mondo delle orchestre “vere” (quelle con gli archi, per capirci); ma, per qualche strano caso, una Bohème o una quarta di Schumann suonate maluccio, da un’orchestra raccogliticcia con un direttore che fa da metronomo (quando va bene!!!), che non dà un attacco e di fatto non dirige un bel niente, è sempre e comunque un evento di Alta Cultura, mentre un’Orchestra di Fiati di alto livello, con un bravo direttore, che esegue impeccabilmente la Terza Sinfonia di James Barnes (tanto per citare un Capolavoro “pesante”) o il Requiem di Hidas, resta sempre il “concerto della banda” che non fa vera musica, suona male e per cui non vale la pena di andarci. Altro che stare qui a scannarsi sulle bande amatoriali, le bande da giro e le orchestre di fiati… i problemi sono ben altri!!!
Il modello Americano consente agli strumentisti e ai direttori più validi, di scegliere alla fine degli studi se intraprendere la carriera esecutiva o rimanere all’interno del sistema formativo, consente di “fare mercato” offrendo molteplici possibilità occupazionali a quelli che “ci credono” e che fanno della Musica una scelta di vita. Mi piacerebbe molto, quando dico di essere un musicista, non sentirmi rispondere la solita “sì, ma qual è il tuo mestiere?!?”, ma attualmente il nostro sistema culturale/formativo, di fatto non lo consente.
È anche vero che introdurre in Italia il sistema americano “in toto” sarebbe un errore, in quanto le basi di partenza sono profondamente diverse. Qui da noi le bande ci sono già, e molte di queste funzionano molto bene. Utilizzare queste per creare un “Sistema Italiano” è una cosa abbastanza fattibile. Dare una sorta di “Certificazione” alle bande e ai loro insegnanti, per poter entrare nelle scuole (partendo dalle scuole inferiori), e formare in modo cosciente i bambini, dal punto di vista musicale, per portarli poi ad avere una migliore base di partenza per intraprendere lo studio di uno strumento. Una sorta di joint-venture tra bande e scuole pubbliche porterebbe innanzitutto ad un insegnamento della musica più qualificato, evitando magari che le maestre elementari deputate all’insegnamento della musica, e che nella stragrande maggioranza delle volte non hanno nemmeno lontanamente la preparazione minima necessaria per farlo, utilizzino le ore di musica per altre cose, o peggio vadano su internet a scaricarsi le posizioni del flauto dolce, e “insegnando musica” creino danni peggiori.
Il sistema Americano va sicuramente preso come modello, visti i frutti che dà, ma va poi modellato su misura per la nostra situazione bandistica, che ha presupposti diversi rispetto a quella d’oltreoceno. E pensare che siamo stati noi Italiani, fin dalla metà dell’Ottocento, con Francesco “Francis” Scala, seguito poi da Achille La Guardia, Creatore e Liberati all’inizio del secolo scorso, e poi ancora Sbraccia, Mantia, Boccalari, De Luca, De Matteo e altri negli anni 20/30, a portare in America il Sistema delle Bande durante il periodo dell’emigrazione.
Come dire che, un’ennesima volta, l’America ce l’avevamo qui sotto il naso.
(a cura di Denis S.)