La Settimana Santa in Sicilia – Prima parte

Aspetti storici, tradizionali, musicali e bandistici sulle musiche e i riti della Settimana Santa

Da sempre il periodo della Settimana Santa, in molte piazze dei centri urbani italiani, così come in tutta l’area dell’Europa Cattolica, prevede una molteplicità di azioni rituali liturgiche e paraliturgiche dove si sviluppa una varietà di suoni. In tutta Italia, processioni del Cristo Morto, Sacre Rappresentazioni, misteri (i cortei dove sfilano le statue che rappresentano le stazioni della via crucis o i momenti più significativi della Passione di Cristo), processioni devozionali o penitenziali, vengono accompagnati da onde sonore proposte da canti polifonici, bande musicali, suonatori di tamburi, suonatori di strumenti tipici locali (trucculi, raganelle, sonagli, fruste,ecc…). Questi suoni, discendenti diretti di periodi assai remoti, riempiono lo spazio di piccoli centri di campagna dove è ancora fortemente radicata una tradizione secolare, ma è possibile vivere questa atmosfera anche nelle piccole e medie città e non mancano le occasioni di vederle presenti nei grossi agglomerati urbani. (cfr. Macchiarella, 2006).

«Gli usi, le cerimonie, le superstizioni che si legano alle varie feste popolari dell’anno, per istrane e incomprensibili che sembrino, hanno molta importanza nella storia dell’uomo; e sarebbe troppa ingenuità il vedere essi nient’altro che usi, cerimonie, superstizioni insignificanti, perché incomprensibili, e perché tali, da disprezzarsi» (Pitrè,2005).

Origini Storiche
In Sicilia le tradizionali rappresentazioni sacre della Settimana Santa, ma come in tutte le aree del mediterraneo, hanno origini remotissime. Fin dal 313, anno in cui fu sancito con l’editto di Milano la libertà di culto ai cristiani, i primi devoti fecero di tutto per eliminare gli antichi ludi scenici, e proprio attraverso le sacre rappresentazioni si intratteneva il popolo seguendo un filo logico cristiano più corretto, secondo la nuova religione. Il Christus Patiens fu la più grande opera drammatica dei primi tempi dell’era cristiana, tale da far dimenticare le rappresentazioni drammatiche dei tempi dei Greci e dei Romani.
Il canto liturgico, con i dialoghi tra il celebrante e l’assemblea dei fedeli, fu l’incipit per ciò che nel medioevo sarà il dramma liturgico. Accanto ad esso vi era l’antico uso di proporre delle processioni figurate che si svolgevano durante le feste solenni e che sfilavano dall’esterno della chiesa fino a davanti l’altare maggiore. Queste processioni erano accompagnate da canti e gesti pieni di riferimenti simbolici, sia nelle parole che nei movimenti, e così anche nelle vesti (si pensi a quando il celebrante invoca il “mistero della fede” o eleva alla consacrazione l’ostia), che si rifacevano agli antichi ludus profani. Chiese, monasteri e conventi erano luoghi, in un certo senso, teatrali, dove la vita liturgica era interpretata dalle parole e dei gesti e all’interno del quale la componente musicale svolgeva un ruolo importante. E’ possibile, secondo alcuni studiosi, che le Sacre Rappresentazioni siano il passaggio delle ufficiature drammatizzate, e il punto di germinazione furono i tropi che venivano cantati durante l’Ora Terza dell’Ufficio, allacciandosi all’Introito della Grande Messa pasquale, il Quem Quaeritis (Chi cercate? Domandano le Pie donne all’angelo).
Risalgono al X secolo le prime fonti che contengono il dialogo in un’unica scena, con il sostegno di melodie scritte: i tropari di San Marziale di Limoges in Francia e di Winchester in Inghilterra.
Dalla Domenica delle Palme, la domenica che precede la Pasqua, una processione di fedeli accompagnava Cristo in groppa ad un asino che dall’esterno delle mura cittadine si recava verso la chiesa. Il Giorno del Venerdì Santo si usava mettere dei drappi a lutto ad una croce che veniva depositata in una simbolica tomba, la quale veniva tolta la Domenica di Pasqua.
Nel percorso storico delle rappresentazioni, furono diversi i segni e simboli che si vennero a creare e che furono associati a vari personaggi biblici, come le Chiavi del paradiso di San Pietro, la Colomba di Maria, ecc..; questo per fare in modo che i personaggi venissero facilmente riconosciuti, e per fornire una chiave su cui basare la creazione dei costumi del dramma. (cfr. Surian 1991 e Brockett 2000).

Dal passato al presente, la funzione della musica: segnali e lamenti
Anche al di fuori della Liturgia, la fede cristiana veniva rappresentata da numerosi atti di culto, cerimonie, pratiche di pietà, rappresentazioni sacre e gesti di penitenza attraverso rituali comportamentali. Spesso il clero non poteva controllare tali manifestazioni, proprio come avviene tutt’oggi, durante le manifestazioni della Settimana Santa con le processioni delle Vare (le più famose in Italia quelle di Caltanissetta, Trapani e Taranto).
La loro composizione è il frutto di varie commistioni fra indicazioni cristiane (del passato e del presente), aspetti di vita (pre)cristiana, usi e credenze locali, regionali diffuse in tutto il territorio nazionale.
Queste pratiche devozionali fuori dalla liturgia prevedono sempre la presenza della musica, e la funzione musicale è assai importante. Pur non essendo il fulcro della manifestazione, essa ha il compito di indirizzare, qualificando il sentimento devozionale e religioso e agendo sul lato emozionale del credente (nel caso della banda, l’esecuzione delle marce funebri sempre in tonalità minori e a ritmo lento; nel caso dei canti attraverso arcaici modi ecclesiastici ad una o più voce), e avendo il ruolo di collante, cioè attraverso le meste melodie dei suoni e dei canti, si riconosce l’intera collettività. E’ in questi momenti che la musica viene realizzata con il massimo impegno e viene curata in ogni suo aspetto; infatti i musicisti, gente comune che si sente presa dal momento, esternano con i loro strumenti o le voci quello che i fedeli esprimono col pianto e con gli sguardi mesti, una sensazione che solo chi la vive o ne ha vissuto un’esperienza diretta riesce a capire. Basti pensare che la maggior parte delle bande che partecipano a queste manifestazioni iniziano a prepararsi all’evento già dal termine delle festività natalizie, e sulle auto dei giovani bandisti siciliani, già dal mese di dicembre è possibile ascoltare dalle loro autoradio le marce funebri che faranno da colonna sonora a quei pochi giorni di passione.
Durante la settimana santa sono tre i tipi di musiche che si possono distinguere: accanto ai suoni e i rumori dei fedeli, dei venditori di noccioline e torrone, si elevano i suoni prodotti dagli strumenti tipici, i canti monodici o polivocali di tradizione orale – in prevalenza denominati lamienti, lamentanze, ladati, larati, parti in base l’area di appartenenza – e i suoni delle bande musicali.

  1. Strumenti tradizionali
    I suoni prodotti dagli strumenti (tamburi, raganelle, sonagli, crotali o “truccula”, castagnette, realizzati quasi tutti in legno), che riguardano il primo tipo, possono fungere da decoro sonoro ai canti orali, o usati come segnali durante le meste processioni, o come nel caso della notte tra il Giovedi e il Venerdi Santo di Villalba (CL) il suono dei trucculi dà inizio alla “Passione di Cristo”. A mezzanotte, davanti all’altare, viene esposto il Cristo morto e un altro segnale annuncia l’inizio dei viaggi penitenziali: i fedeli, partendo dalla porta della chiesa, arrivano ai suoi piedi effettuando viaggi in ginocchio (un tempo c’era chi lo faceva anche trascinando la lingua per terra) in segno di penitenza o per promissioni (richieste di grazie in cambio di un sacrificio). Sempre a Villalba, il Venerdì Santo, per tutto il giorno, un tamburo grande col telaio in legno e in pelle di capra, suona “a morto”, e dalle ore 13:00 dello stesso giorno, fino alla mezzanotte del sabato, le campane, che abitualmente rintoccano le ore quotidiane, tacciono in segno di lutto.
  2. Le lamentanze
    I repertori della devozione e tradizione extraliturgica presentano nell’insieme vari elementi musicali del repertorio ecclesiastico, misti a forme di tradizione orale, reinterpretazioni di musica d’arte del passato e oggi anche della cultura massmediatica (Cfr. Macchiarella, 2006). I repertori orali non costituiscono un area delimitata, e altrettanto mutevole è la loro distribuzione geografica e culturale; benché alcuni repertori si limitino ad essere eseguiti in aree ristrette, molti vengono invece eseguiti a larga scala, cambiando solamente lo stile di riproduzione. Come osserva Macchiarella, le manifestazioni sonore possono comprendere qualsiasi tipologia di espressione musicale. La provenienza della liturgia in latino della Chiesa rappresenta un segno di “sacralità” dell’esecuzione all’aperto. Bisogna ricordare che fino al 1963, anno del Concilio Vaticano II, l’accompagnamento musicale della liturgia era affidata esclusivamente al celebrante e ai chierici, o al massimo a cantori specializzati, sempre e comunque maschi. Si può capire come, per i fedeli che prendevano parte alla Liturgia, questo aspetto fosse molto suggestivo, e ciò ci aiuta a spiegare come in molti casi vi è la presenza di questi canti all’interno del repertorio vocale.

L’uso di materiale liturgico in ambito popolare è usanza assai antica. A tutt’oggi i canti in latino di derivazione liturgica vengono eseguiti in momenti salienti e di particolare importanza, e spesso si può assistere allo storpiamento e a una dialettizzazione del latino e dei testi. A Montedoro (CL) permane un repertorio di lamenti eseguiti in stile polivocale. Sono testi ripresi da fonti liturgiche, in particolar modo dal latino Stabat, Pange Lingua, Gloria, Popule meus, dall’italiano Sacre Scale, Oh Crocifisso, Voi che versate lacrime e anche dalle tradizioni dialettiali Maria passa di la strata nova, Giuda si nni pagà di li giudiìa, Maria iecca na vuci.
E’ molto suggestiva la Domenica della Palme: in quasi tutti i paesi siciliani, si rievoca in due momenti il mistero pasquale: l ’entrata di Cristo a Gerusalemme, do ve si assiste ad una processione in cui i fedeli accompagnano il corteo con rami benedetti di palme d’ ulivo e d’alloro; la commemorazione anticipata della Passio Christi. Sempre a Montedoro (CL) la processione avviene di mattina e si articola secondo ben precise modalità drammatico-musicali. Il coro dei lamintatura siede dentro la chiesa in attesa che arrivi il corteo, che si arresta davanti al sagrato. Il sacerdote, di fronte alla porta grande chiusa, bussa tre volte e il coro replica, secondo la prescrizione liturgica, l’inno gregoriano Gloria laus.

Gloria Laus et onor
Tibi setti Cristo Redentore
Cui puerere e da nomine
Iechin binidito vera.
E da querere que da promine
Osanna pia.
E da querere che nomine que da
Iechin binidito vera
Gloria, laus et honor
tibi sit, Rex Christe Redemptor:
Cui puerile decus promsit
Decus prompsit
Hosanna pium
(a sinistra il testo lamentato a Montedoro, a destra il testo originale in latino

Riportato in Bonanzinga, Forme espressive e società tradizionali)


Il testo è stato rilevato dall’ascolto del “Gloria”, e come si può ben vedere, è palese una dialettizzazione dell’originale canto gregoriano.
I canti, in generale, assumono nel contesto popolare una connotazione di cordoglio nei confronti del Cristo morto. (Cfr. Bonanzinga, 2002).

(continua…)

(a cura di Giuseppe S.)