Incontro con Jan Van der Roost

Intervista all’eclettico compositore di fama mondiale al quale la banda ha dato una marcia in più. E una sorpresa finale per i nostri utenti…

Salve Maestro, e benvenuto su MondoBande. Ci parli un po’ di Lei, del suo percorso, della sua formazione.
All’età di 11 anni iniziai a frequentare la banda musicale diretta da mio padre; era una banda composta per lo più da amatori, dei quali la maggior parte erano persone anziane, e io fui il più giovane componente del gruppo.
Negli anni a seguire ho avuto come l’impressione che, da un momento all’altro, le bande musicali sarebbero scomparse: in un concerto, un delegato della federazione ha iniziato a parlare della banda in modo negativo, riportando un sentimento di sofferenza e dicendo che le bande erano destinate a morire, e io rimasi molto amareggiato da questo commento, non capivo come mai quell’uomo, molto più grande ed esperto di me, pensava e diceva tutto il contrario, cioè che la banda era destinata a scomparire; rimasi scioccato dalle sue parole.
Oggi la situazione si è completamente invertita, in quanto adesso nelle mie zone la situazione bandistica è molto sentita.
Il mio primo strumento fu un flicorno tenore; a 14 anni ho cambiato per studiare trombone, anche se mi veniva difficile allungare il braccio fino alla 5a -6a posizione. A 18 anni ho sentito la necessità di iscrivermi al conservatorio, anche se prima del conservatorio facevo musica a livello amatoriale, prendendo solo qualche lezione su come appoggiare le dita sui pistoni o qualche lezioni di solfeggio. La cosa sorprendente è che, senza nessuna lezione precedente, sono riuscito a superare l’esame di ammissione, e verso l’età di 15-16 anni ho iniziato a comporre qualcosa, sempre senza aver appreso lezioni di composizione: durante l’audizione di ammissione la commissione mi chiese come fosse possibile scrivere certa musica non avendo studiato prima, ed io risposi che avevo suonato nella banda… “Ma è possibile suonare in una banda e scrivere musica in questo modo?“, mi chiese incredula la commissione. Durante la prova, ricordo che mi sottopose un ritmo lento e comprensibile ma alla fine riuscii a produrre dei ritmi molto più complessi che loro stessi, a primo impatto, non riuscirono a riprodurre: restarono meravigliati di come un ragazzo proveniente da una banda musicale avesse quelle capacità.
Ho iniziato a studiare in conservatorio in Belgio: pianoforte, armonia e storia. A 20 anni, anche se ha avuto poco successo, ho pubblicato la mia prima composizione ufficiale.
Ovviamente prima degli studi in conservatorio ho scritto dei brani meno strutturati, mentre durante gli studi ho cominciato a scrivere in modo più corretto, cosciente delle nozioni ricevute. Il primo pezzo era un arrangiamento per quintetto di ottoni, composto perché il mio insegnante, tornato da una vacanza in Provenza, mi portò il motivetto di una danza ed io l’ho arrangiato. Una melodia molto semplice che poi ho utilizzato nel brano Suite Provenzale.
Nel conservatorio dove ho studiato, il mio Direttore rinnegava le formazioni bandistiche, cercando di formare orchestre con archi, organo, piano. Io ed altri studenti suonatori di strumenti a fiato decidemmo di formare un complesso. Andammo dal Direttore dell’istituto a chiedere di formare un complesso in forma ufficiale ma non ce lo consentì, perché la banda non era vista positivamente. Come in Italia, e in altri posti del mondo, anche in Belgio si è dovuto lottare per fare capire che la banda non è qualcosa di negativo; ma ci è voluto tempo.
Dopo il conservatorio ho continuato gli studi ad Anversa. I primi 5 anni erano dedicati alla formazione tradizionale, mentre gli altri 2 conservatori gli ho frequentati per la specializzazione. In tutto questo tempo ho sempre suonato nella banda di mio padre, tranne che per l’ultimo periodo della specializzazione: mi sono un po’ distaccato perché avevo un pochino cambiato idea di come fare musica in banda. Infatti ho iniziato a comporre nell’82 per diverse formazioni. Da questo momento ho iniziato a dividere in 2 branche il mio modo di vedere la professione nella musica: da una parte la musica amatoriale, l’orchestra di fiati e le bande; dall’altra l’orchestra classica, tradizionale. Ovviamente la maggior parte della gente conosce solo il 50 % del mio lavoro, in base al settore. E’ come vivere 2 mondi diversi: ho cercato più volte di riunire questi 2 mondi, ma ho sempre trovato continuamente persone che si sono opposte. Per esempio nel biennio di Anversa dovevo per forza lavorare su orchestre d’archi senza avere per nulla a che fare con gli strumenti a fiato. A 27 anni ho presentato un brano per orchestre d’archi al conservatorio e sono stato inserito come insegnante. Nello stesso anno sono stato invitato come giurato in un concorso provinciale e ho iniziato a dirigere una delle più grandi brass del Belgio. In quel momento mi trovavo in diverse situazioni e dovevo decidere quale strada intraprendere. Nell’85 ho cominciato a scrivere il mio primo brano per Orchestre di Fiati, non avevo mai scritto nulla del genere ma mi sentivo molto legato a questa formazione: da lì è nato Rikudim, una danza israeliana popolare. Originariamente non era un brano originale per banda, quello che poi è diventato dopo: è stato scritto per un mio amico che aveva un complesso strano con diversi strumenti particolari e che voleva qualcosa di strano e particolare che rimanesse impresso nella mente della gente. Il direttore del conservatorio, appena sentito il clamore di questo brano, mi ha proposto di arrangiarlo per orchestra. Quindi ha avuto un percorso molto travagliato: nato per complesso, arrangiato prima per orchestra di archi e poi per orchestra di fiati con cui ha girato il mondo. Adesso è arrangiato in 12-13 modi differenti.

Come Compositore la sua fama è indiscussa. Ma Lei preferisce la veste di compositore o di direttore?
Mi piacciono entrambi gli aspetti, perché la direzione è qualcosa che do agli altri, quindi un senso di apertura, mentre la composizione è qualcosa che ho dentro e che metto dentro al brano. Mi piace questa bilancia, questo parallelismo tra le due cose, perché mi dà un senso di completezza.
E’ anche la combinazione ideale, perché da direttore posso dirigere altri pezzi ed imparare dagli altri compositori quello che hanno scritto, e allo stesso tempo come compositore nel momento in cui dirigo capisco il motivo effettivo per il quale hanno scritto quel brano e in quel particole modo.

Preferisce scrivere per wind band o per altre formazioni orchestrali e di che difficoltà?
Certo son cose diverse ma mi piace comporre per entrambi; anche se preferisco sempre scrivere per bande di livello maggiore perché preferisco avere molte più opportunità, molto più spazio per scrivere.

Van Der Roost è sicuramente famoso, almeno in Italia, per il successo ottenuto da “Rikudim”. Ma c’è una composizione a cui è particolarmente legato, e perché?
Ritengo che è il pezzo più importante per la mia carriera, ma non per me stesso. Rikudim è stato scritto in un pomeriggio e sicuramente mi ha portato onorificenze quasi in tutto il mondo. E’ difficile stabilire però quale sia il brano più importante per me, d’altronde è come con i figli: come si fa a dire quale sia più importante per un padre! In ogni caso preferisco sempre i pezzi più elaborati come Spartacus, Sinfonietta, Sinfonia Ungarica, ma non uno in particolare.
E’ difficile rispondere in termini concreti… è come quando si va in un ristorante costosissimo, un cibo prelibato in quel momento sicuramente sarà delizioso, ma se sei affamatissimo e vai al McDonald a mangiare un pezzo di pizza o un hamburger allo stesso modo sarai soddisfatto, quindi ti possono dare soddisfazioni grandi entrambi, però in momenti e modi diversi, dipende dalle situazioni. E’ facile preparare la pizza, però può risultare gustosissima quanto il cibo elaborato.

A quale corrente musicale si sente più legato?
I pezzi bandistici sono più tradizionali, mentre quelli più complicati sono più d’avanguardia, più moderni. Nel mio repertorio ci sono stili ed approcci musicali differenti: per esempio Mercury o Arsenal hanno un impatto ed un approccio bandistico di marcia, mentre più complicato è il discorso per brani come Sinfonietta o Spartacus.
Credo che stilisticamente potrei definirmi un eclettico: ricordo ancora che il mio professore al conservatorio non era d’accordo con il mio modo di fare perché andavo a destra, sinistra, avanti e indietro, mentre lui sosteneva che bisognava seguire una linea ben precisa, unica. Meno male che non l’ascoltai mai, perché adesso sono felice così, di seguire tutte le vie che ho in mente.

Come nasce una composizione di Van Der Roost? Trae ispirazione da qualcosa o qualcuno, o nasce in modo spontanea?
Una volta è capitato che all’aeroporto di Helsinky, durante un volo per Chicago, in un attimo è venuta l’ispirazione e ho scritto Helios; mentre altri volte mi siedo apposta a comporre e accortoccio montagne di fogli perché non mi viene nulla in testa.
Cerco comunque di coordinare nella mente la linea melodica e l’armonia immediatamente. Ovviamente tutto in modo differente, perché appunto quello che scrivo è sempre imprevisto: alcuni brani sono più tonali, altri più armonici, altri più basati sul suono.

Come immagina i condottieri romani in Condacum? Portatori di potenza o portatori di distruzione?
Non avevo sensazioni negative, ma esempio di forza, un gruppo imponente che camminava ed andava avanti nelle proprie conquiste

Come è nato Spartacus?
Spartacus
è stato il primo brano importante per orchestra di fiati non commissionato, perché ho iniziato a lavorare sotto commissione nell’86. E’ stato il primo brano per cui ho sentito il bisogno di scrivere, e l’ho scritto per me. Quando stavo per fare gli esami di ammissione al conservatorio di Anversa per la classe di composizione, ho deciso di avere un altro pezzo oltre quello per pianoforte e orchestra; siccome dovevo avere 10 brani, quindi deliberatamente ho scritto questo brano dedicato alla banda. Non c’è una storia vera dietro, ho solo cercato di immaginare come si viveva 2000 anni fa a Roma, ma dietro non ci sono storie reali o film, anche se la gente, ascoltandolo, inevitabilmente immagina questo.

Quando crea una frase nuova, un periodo musicale, secondo quale criterio decide di affidare la stessa ad un determinato strumento anziché ad un altro?
È difficile già fischiettare alcuni brani, dipende dalla struttura che do al brano. Indubbiamente ci sono pezzi più melodici, più facili da ricordare, altri invece più complessi. Non calcolo mai quello che devo scrivere prima o dopo; ovviamente c’è lo studio dietro, e la parte inconscia sa già quello che voglio scrivere, è una cosa che parte dall’anima, dal cuore, e quindi non sto attento a calcolare ed organizzare ciò che devo scrivere prima o dopo; se però dopo vai ad analizzare la parte, capisci che è scritta in modo corretto, strutturalmente precisa… perché ovviamente ci sono anni di studio di composizione dietro. Comunque la mia scrittura è sempre mista, ci sono sia degli aspetti strutturali che degli aspetti emozionali o sentimentali che vanno di pari passo, unendo sempre gli estremi. Ci sono modi diversi di lavorare, chi matematicamente si preoccupa di lavorare più della struttura non dando sfogo ai sentimenti e chi il contrario; io mi ritengo di lavorare in termini intermedi.

Quando arriva al punto culminante di un suo lavoro, dove suonano tutti gli strumenti, secondo quale criterio utilizza gli strumenti nelle diverse ottave degli stessi?
Dipende sempre dalla natura del brano, perché solitamente nei pezzi meno impegnativi si cerca di lavorare nelle ottave medie. Non ci sono però regole generali per tutto ciò: ad esempio, può essere molto più di impatto un accordo a parti strette, mentre può avere un suono completamente diverso se c’è molta distanza tra le parti. Può essere molto d’impatto vedere un quadro con molti colori diversi insieme, oppure vedere un quadro completamente bianco con uno spruzzo di un colore solo in contrasto che dà comunque un effetto, sono due cose completamente diverse ma che danno delle sensazioni forti. Ci sono molte cose sostanziali prima di scrivere il registro degli strumenti: dipende se lo vuoi fare notare oppure no, e quindi di conseguenza scegli le ottave giuste.

“Poeme Montagnard” è un pezzo descrittivo: parte da un tema ben preciso?
Si, dal nome della persona a cui ho dedicato il brano. Il brano ho voluto omaggiarlo al mio amico Lino Blanchod, quindi associando ogni lettera del cognome ad una nota dell’alfabeto è uscito fuori il tema. Posso iniziare per gioco, partire appunto da questa associazione che può essere l’inizio per una composizione, e poi da lì sviluppare la melodia, e così via tutto il brano.

Ho l’impressione che dietro l’evidente influsso di Edward Elgar e Vaughan Williams, ci sia anche una curiosità per la forma italiana. Mi sbaglio?
Certo, d’altronde definisco la mia musica eclettica perché, essendo ispirato da così tanti compositori, non può essere diversamente. Per esempio gli inglesi mi hanno ispirato la parte melodica, più cantabile, anche se comunque Respighi credo mi abbia influenzato più di tutti.

Quali sono i suoi modelli di scrittura, soprattutto per i brani sinfonici, ma anche per le marce da concerto?
Delle marce seguo uno stile più inglese, con tempo non molto veloce e trio piuttosto melodico. Per altri brani come Poeme Montagnard, Sinfonietta, Sinfonia Ungarica, non posso dare una definizione precisa, visto che sono tutte di ispirazioni diverse. Per esempio per Sinfonietta, i giapponesi mi hanno commissionato un brano di 20 minuti che doveva essere d’effetto e difficile, mentre per Sinfonia Ungarica i commissionatori mi hanno dato un plico di carte e di foto che ovviamente hanno contribuito all’ispirazione del pezzo; però non c’è un modello preciso reale della mia scrittura.

Il suo linguaggio musicale è sempre rimasto uguale? O negli anni ha preso altre vie?
Scrivo in così tanti modi diversi che mi allontanano estremamente da dove ho cominciato, per poi ritornare al mio linguaggio iniziale. Se ascolti le composizioni scritte in un anno capirai questo movimento altalenante. Lo sviluppo e la crescita durante la carriera inevitabilmente ci sono stati, infatti gli estremi tecnici sono sempre andati via via aumentando.
La situazione attuale non incide mai sul brano, anche perché per esempio molte volte mi sono stati commissionati dei brani che poi ho cominciato a scrivere dopo anni. Nel periodo in cui mi si commissiona il brano magari avrò del materiale informativo ma lo combinerò sempre con mie esperienze del momento ed emozioni che vivo nel momento in cui scrivo.
E’ difficile comparare il mio linguaggio, perché nell’ultimo anno ho scritto 2 brani, di cui uno era per un concorso per cori di voci bianche: l’estensione è minima (la voce di un bambino), per cui ho lavorato per quella estensione dedicata; mentre nello stesso periodo ho lavorato ad un brano per clarinetto e orchestra sinfonica, e lì mi sono sbizzarrito, perché ho usato qualsiasi cosa da poter inserire. Poi una marcia per una banda in Giappone e ancora un duo per chitarra e pianoforte, quindi molto spazio. Tra questi pezzi non c’è un linguaggio comune, perché per esempio il musicista di chitarra è indiano, l’altro al pianoforte è peruviano, che per altro vivono in Germania e fanno musica ad alto livello. E’ difficile etichettarmi, associarmi ad uno stampo, perché appartengo a diversi aspetti della musica: anche in Belgio non riesco a definirmi, a quale corrente potrei associarmi.

Ho notato che fra le sue composizioni ve ne sono diverse destinate a gruppi extrabandistici: che tipo di linguaggio usa? Lo stesso di quello utilizzato per composizioni bandistiche, o tende verso altri stili sperimentali?
Dipende sempre dal target a cui direziono i miei pezzi. Se scrivo per gruppi amatoriali, sono consapevole che non staranno molto a studiare, quindi ho una scrittura più facile, mentre se scrivo per dei professionisti che si esercitano 5 o 6 ore al giorno, questi possono studiare dei passaggi anche più difficoltosi.

Una composizione, per essere considerata di valore artistico, che elementi deve contenere?
Molto semplice: quando c’è una buona idea e viene elaborata bene, il risultato sarà garantito; questi per me sono i 2 punti principali. La buona qualità del pezzo dipende da una buona idea iniziale sicuramente, ma maggiormente dalla capacità di elaborazione. Ad esempio, la V di Beethoven, da un semplicissimo accordo iniziale sviluppa una composizione di 9 minuti eccezionale; quindi l’equilibrio tra l’ispirazione e il buon lavoro in funzione dell’ispirazione. Ad esempio in architettura, quando si vede una bellissima cattedrale stupenda, l’idea è bella, ma se è stata costruita male crolla tutto dopo pochi mesi ed è finita lì. L’opera d’arte deve essere solida, costruita bene, partendo da un’idea bella come poteva essere quella dell’architetto che ha progettato il Duomo di Milano. Tutto nasce dal bilanciamento tra l’idea artistica e la forza fisica, in architettura… Succede la stessa cosa in musica: una buona idea sviluppata in modo corretto. D’altronde sono sempre forme artistiche.

Ormai siamo strapieni di suite e danze intrise di folklore: non crede che la musica per banda debba iniziare a cambiare tendenza?
Si, è vero che ci sono troppe suite, ma non è necessario cambiare stile. Se il prodotto è ben fatto non è importante cambiare. Certo sarebbe meglio cambiare, perché ci sarebbero più novità, ma non è necessario.

Si parla tantissimo della cultura bandistica: secondo Lei qual è la funzione della banda musicale?
Innanzitutto dipende dal livello dei complessi musicali, in quanto il livello più basso può avere una funzione sociale, lo stare insieme, il gruppo, le regole di società; mentre a livello più alto può avere una funzione professionale musicale. La funzione davvero educativa che ha la banda è quella di portare la musica a tantissime persone, in quanto solo una cerchia ristretta di persone va al teatro o alle grandi sale da concerto per seguire concerti importanti; dunque ha questa funzione importante di espandere, di portare a contatto le persone più comuni con la musica. L’interesse per la musica è stata coltivato dalle bande, in quanto tantissime persone hanno avuto i primi approcci con grandi musicisti del calibro di Rossini o Wagner magari ascoltando degli arrangiamenti per banda: per cui è anche un modo per far conoscere in giro artisti di altissimo livello.

Dall’America all’Australia, si sta tentando di uniformare un po’ tutto il sistema bandistico, dall’organico alle categorie ecc.: secondo Lei è una cosa positiva? Non si rischia di ingabbiare l’estro artistico dentro la scatola delle regole?
Ci sono dei vantaggi e degli svantaggi. Per quanto riguarda gli svantaggi, tante culture bandistiche e musicali di determinate nazioni si vanno via via perdendo, mentre per i vantaggi c’è che il repertorio bandistico si è ingrandito, è diventato molto più vasto in quanto, già quando ero giovane, era impossibile suonare della musica americana a causa della trascrizione, perché era un modo completamente diverso di scrivere musica. Un esempio, Al Piemonte di Pizzini: è un pezzo strabiliante, ma inizialmente non poteva essere diretto da altri se non italiani, perché è scritto in modalità “italiana”. Oggi invece, con l’ausilio di programmi di trascrizione, ecc., sono riuscito io stesso a dirigerlo anche in Giappone, in Austria ed altri paesi. Sicuramente non è il brano originale, ma è qualcosa di molto simile che almeno è stato esportato fuori dai confini nazionali. Ovviamente qualche colore locale può affievolirsi, fino a scomparire. Però se guardi l’altra faccia della medaglia, c’è sempre un approccio musicale crescente, in quanto può essere suonato in qualsiasi parte; d’altra parte è quello che già succede per le orchestre sinfoniche ed i brani suonati: un brano di Bramhs può essere suonato in Brasile, in Australia o in Canada, senza alcuna differenza, e quindi questa globalizzazione può essere positiva. Ovviamente in questa evoluzione la cosa negativa è la perdita di alcune peculiarità e colori locali soggetti a scomparire.

Come direttore ospite ed esperto, Lei viaggia in tutto il mondo. Qual è, secondo Lei, lo stato dell’evoluzione bandistica nelle differenti aree geografiche?
La differenza sostanziale è tra l’Europa ed il resto del mondo perché l’Europa, il continente antico, è quella che ha più fermento, ci sono più bande amatoriali con diverse caratteristiche. Mentre negli altri continenti la maggior parte dei complessi sono di organizzazione scolastica, in Europa è l’opposto: abbiamo un 5% di bande scolastiche, il resto è amatoriale. Sta crescendo tantissimo la qualità delle bande in Nord America, qualcuna anche in Sud America, ed anche in Asia si sente questo sentimento dei giovani che si accostano alle bande. Ovviamente se parlo di Asia non voglio generalizzare, perché in Cina ci sono pochissime bande di livello più basso, mentre in Giappone succede al contrario, ci sono più bande ed il livello nella competizione si sa che va via via aumentando; lo stesso succede tra Bolivia e Brasile. Sto parlando in termini generali, per dire che nei continenti come Asia ed America qualcosa di buono sta cominciando a venire fuori, ma non è legato a tutti gli stati dei continenti, vedi il Venezuela e l’operazione di Gustavo Dudamel. Potenzialmente però in Cina, considerando la popolazione esistente, la banda potrebbe crescere tantissimo: bisogna vedere se ci sia all’inizio molta gente che investa, e tra vent’anni si potrebbe avere un livello altissimo. Un altro esempio è la Lituania, paese molto piccolo: 20 anni fa non c’era nulla, dopo 10 anni hanno cominciato a studiare, e adesso hanno notevole importanza, anche se non sono i migliori al mondo. Ma piano piano, studiando, si cresce.

Cosa conosce dell’Italia bandistica, e qual è il suo pensiero in merito?
Per me è sorprendente vedere lo stato di contraddizione che c’è in Italia: è un caso particolare in quanto in tutto il mondo l’Italia è conosciuta per la patria della musica, dell’opera. Gli stessi tempi ed espressioni delle partiture vengono riportati in italiano: Allegretto, Andante, con moto, rallentato, ecc.. Nello stesso tempo la realtà bandistica sta prendendo piede adesso, per cui è un po’ indietro rispetto ad altri stati: considerando i molti autori e compositori italiani famosi in tutto il mondo in tempi passati, non dovrebbe succedere, quindi c’è questa sorta di contrapposizione che va a cozzare tra quello che potenzialmente potrebbe essere l’Italia e quello che effettivamente è. Una cosa importante è che oltre le potenzialità enormi che ci sono in Italia, va cambiata la mentalità: tante cose vanno organizzate meglio e strutturate meglio, e con una gestione manageriale dell’ambiente in alcuni anni si potrebbe arrivare al top. Come in qualsiasi campo, anche nella musica e soprattutto nella vita bandistica è importante che ci siano diversi elementi e che tutti funzionino bene; se per esempio mettiamo insieme un direttore grandioso con 50 musicisti che non sanno suonare, la cosa non funziona, e viceversa. Se oltretutto metti un maestro preparato e 50 musicisti bravi ma il direttivo scarseggia nel suo operato e non li appoggia, organizzando al meglio le potenzialità del territorio, strutture, infrastrutture, ecc., la banda non andrà avanti comunque. Dunque è un insieme di diversi tasselli, che vanno inquadrati e studiati a fondo intervenendo nelle singole competenze.
Aggiungo che l’Italia musicalmente è un paese molto promettente, con una potenzialità grande, però non riesce ad ottenere dei risultati brillanti o non di livelli altissimi come altri paesi. Credo che una grande responsabilità la detenga il governo: il fatto di non supportare l’arte della musica determina un lassismo generale. Ho come l’impressione che l’arte in Italia sia seconda a tutte le varie attività che coesistono nel territorio. E’ importante invece che le autorità investano su queste formazioni musicali, perché se non altro si sarà contribuito a creare una società migliore: i ragazzini stanno tutti insieme a suonare, non vanno a distruggere le strade e fare atti vandalici in giro anche solo per il piacere di fare qualcosa di diverso e non annoiarsi.

In un articolo pubblicato sul nostro sito Giuseppe Scarlata, giovane critico e storico della musica, usa una metafora per descrivere la banda: “Così come il sangue scorre nelle vene, così la banda sfilando fra la arterie cittadine riesce ad arrivare in ogni luogo e in ogni persona. Condivide questa sua metafora?
E’ una bella metafora. Certamente non si può addire a tutti i livelli, però almeno nell’80% delle formazioni che abbiamo il fattore sociale è quello predominante, maggiormente nelle bande di livello medio-basso… e se consideri anche il fatto che la banda sia itinerante va bene, non c’è niente di male a pensare che sia come il sangue che scorre!

Sostanzialmente che differenze nota fra il repertorio italiano e quello del resto del mondo?
Difficile riuscire a stabilire differenze sostanziali nei repertori, in quanto con questa globalizzazione di cui parlavamo prima, nel proprio ambiente bandistico vengono introdotti pezzi provenienti da diverse nazioni del mondo. Mio padre, ad esempio, è stato uno dei primi ad introdurre in Belgio brani esteri. Comunque dallo stile si riesce a riconoscere i vari brani, americani, inglesi, spagnoli, svedesi, ecc.. In generale è difficile dare una risposta, perché se dovessi dare una definizione tra diversi musicisti potrei farlo, come la differenza tra Luigi Nono e Puccini, entrambi italiani, uno molto contemporaneo e l’altro romantico, e di similitudine hanno ben poco. Ma come realtà non si può generalizzare, penso ad esempio a Sicilia e Calabria in confronto con la Puglia: sempre Italia, ma stili completamente diversi. L’Italia è molto lunga ed è caratterizzata da molti stili diversi; ma anche in Belgio è difficile parlare dello stile, in quanto c’è una differenza sostanziale tra lo stile fiammingo e tra quello francese.

Un compositore oggi compone per vendere o perché ha qualcosa da dire?
Non è una cosa che si riferisce solo ad oggi, anche Bach per esempio per vivere doveva consegnare ogni settimana delle cantate, belle o brutte che siano, per venderle. Certo, ogni compositore si augura che i suoi brani siano eseguiti bene e che siano venduti bene. Se si vende è un bene, ma se non si vende, pazienza. In ogni caso la qualità è quella che viene fuori. Per esempio, se si mescola in un bicchiere acqua e olio, sembra essere tutta una miscela, ma dopo un po’ l’olio viene su a galla ed è più importante dell’acqua: per la qualità è uguale, viene sempre a galla. Ovviamente si spera che la musica venga venduta, però se viene venduta e scompare dopo un po’ perché risulta noiosa o non piace, vuol dire che non è un buon risultato: una buona creazione è una composizione che rimanga nel tempo. Anche nella musica pop è uguale, può essere promossa quanto si vuole, ma se non è un brano importante dopo un anno scomparirà e non si ricorderà più, anche se magari può essere pompato dai media; ma nel momento in cui questi scompaiono, tutti si ricorderanno dei Beatles, o di altri cantanti storici importanti.

Che responsabilità hanno le case editrici nel determinare il gusto del pubblico? Possono avere delle influenze sui compositori?
E’ sempre la qualità che viene fuori: nel momento in cui la casa discografica propone un pezzo, può farlo quanto vuole, ma se non ha un riscontro nel pubblico, non ha un utile; ovviamente si riserva ogni diritto di vendere quanto più materiale può, ma questo perché è il suo lavoro, quello di vendere più materiale possibile. E’ sempre una scelta del compositore accordare ciò che richiede l’editore. In alcuni casi succede, ma dipende sempre dal compositore. E’ sempre la qualità a venir fuori. Un esempio: le danze slave di Dvorak, ne sono state richieste altre otto, dopo le prime otto, e adesso ci ritroviamo 16 splendidi pezzi. Adesso siamo felici perché sono 16 danze stupende, però se fossero state orrende tutti si sarebbero scordati di questi brani ben presto.

E i concorsi secondo Lei che valenza hanno?
La valenza dei concorsi sta nella funzione didattica che essi rappresentano, una funzione  che serve a far crescere culturalmente e musicalmente chi vi partecipa, e come tale vanno vissuti, stando attenti a non far prevalere il fine ultimo della vittoria sulla mentalità  dei musicisti perché in quel caso, fallendo ad uno o più concorsi, diventa come un boomerang che tornando indietro fa collassare il sistema. Ovviamente, se vissuto con spirito di crescita musicale, il concorso diventa un avvenimento positivo, perché mette a confronto le varie realtà  locali e, specie se è internazionale, anche le varie nazioni, abbattendo barriere, aprendo gli orizzonti e soprattutto le menti dei presenti addetti ai lavori.

Come giurato ai concorsi Van der Roost com’è?
Cerco di essere sempre oggettivo… ma anche umano, un tantino più generoso quando vedo dei ragazzini suonare che non studiano, oppure gente più anziana, perché mi rendo conto che non posso aspettarmi il massimo e quindi sono più morbido, più generoso. Però in ogni caso ci sono dei criteri obiettivi da mantenere.

Tra i criteri, preferisce che i direttori si attengano alla partitura o che per esempio i direttori possano fare degli arrangiamenti adeguati per venire in soccorso al proprio organico?
E’ importante che il direttore sappia risolvere i problemi, però durante il concorso mi posso trovare insieme ad altri giurati che la pensano in modo diverso, per cui se faccio suonare degli strumenti diversi da quelli che ci sono scritti in partitura, lì bisogna stare più attenti; questo ovviamente nei livelli medio-bassi, in quelli più alti è chiaro che ci si aspetta di più, anche se l’importante è sempre trovare una soluzione: o adeguare bene adattandolo a qualche strumento possibilmente intonato o cambiare decisamente pezzo, anche quello è indice di strategia e di umiltà verso la musica.

Riferendosi alla Sua partecipazione all’ultimo concorso in veste di Presidente di Giuria (Valle d’Aosta) Lino Blanchood, Direttore artistico dello stesso, in un’altra intervista su MondoBande.it ha dichiarato: “Abbiamo riscontrato tutti, anche in questo concorso, la grandezza di quest’uomo: ha 53 anni, ed ancora adesso non è sempre sicuro di ciò che fa. Ho eseguito forse quasi tutta la sua musica, e c’è tanto dentro quest’uomo, ed è anche bravo ad esternarlo. Io lo chiamo un pò il “Respighi Belga”: c’ha molto di Respighi, non a caso è il suo preferito. Ecco cosa copiare da queste persone, prima di suonare la loro musica: copiare la loro modestia, i loro dubbi: mi ricordo Van der Roost che mi diceva: “Lino, cosa pensi, che abbiam fatto bene? Cosa dici?” Me lo chiede Van der Roost? A me? Ma cosa dovrei fare allora io? Forse dovrei smettere?”
Bhè, troppo buono Lino. Io sono rimasto la stessa persona che ero 15 anni fa, ho tentato di rimanere sempre uguale, anche se ho avuto molto successo. Come artista e come professionista ovviamente si cambia perché si hanno delle opportunità, delle possibilità da prendere al volo; ma per quanto riguarda l’aspetto umano, personale, non sono cambiato.

Conosciamolo meglio nella sua vita privata, Jan Van der Roost: che persona è? Cosa fa quando non fa musica? Hobby, figli, ecc…
Certamente la musica è la mia vita, però quello che è importante come priorità nella mia vita è la famiglia, la casa, gli amici, quindi quando ho tempo cerco sempre di tornare per le feste di famiglia. Mia moglie è la seconda di 9 figli, quindi quando siamo tutti riuniti riusciamo ad essere anche 52 persone… e ci tengo molto a condividere questi momenti con loro e ad avere una famiglia compatta.
Non ho degli hobby specifici, però mi piace dare l’acqua alle piante, passeggiare con mia moglie, fare colazione fuori, fare montain-bike, andare ad una partita di calcio, cose normali e semplici. E ultimante giocare con la mia prima nipote! E’ bellissima!

Ho saputo che Lei è figlio d’arte e se non erro questa arte nella sua famiglia si tramanda di generazione in generazione.
Un antenato di mio padre ha cantato con Toscanini, era un cantante professionista e la madre era parente di un famoso clarinettista mondiale, per cui la musicalità è nei geni inevitabilmente. I miei figli sono musicisti ad alto livello: mia figlia suona l’arpa, mentre il maschio è ormai manager in un’orchestra della radio belga.
L’ultima arrivata non la forzeremo, ma credo che non tarderà ad aggiungersi a questa popolo di musicisti!

Ha mai scritto libri?
Non è una cosa che vorrei fare, perché credo che l’insegnamento della direzione sia difficile e complicato e che ogni allievo abbia un’identità propria, quindi non è facile come insegnare a scrivere, per cui basta mettere semplicemente una penna in mano. E’ difficile fissare delle regole ben precise, come nella matematica. Io personalmente, da compositore, preferisco aprire la mente ad altre culture, altri stili, senza fossilizzarmi con un solo stile tipo di un singolo compositore come Romanov, Stockhausen, ecc.; secondo me nella musica bisogna conoscere il panorama a 360 gradi e poi, se si vuole insegnare ad altri, gli si può dare dei consigli senza avere la presunzione di indicare una singola strada e asserire che sia quella giusta.

Il suo compositore preferito?
Ne ho tanti… ascolto musica dal medioevo fino ai nostri giorni. Ho 5, 6 persone che possibilmente ascolto di più, ma non vuol dire che sono gli unici, dipende anche dai momenti dell’ascolto. Potrei darti dei nomi di compositori, ma non vuol dire che ho solo quelli, dipende dai periodi, dalle conoscenze e dai momenti dell’ascolto.

La miglior orchestra che ha incontrato?
L’Osaka Municipal Sinphonic Band… fantastici! A mio avviso è la migliore, nonostante la più conosciuta sia la Tokyo.

L’evento che ha cambiato la sua vita?
Molti. Ho diversi momenti chiave: posso elencare il giorno del matrimonio, il giorno della nascita del mio primogenito, quando è morto mio padre… ogni evento mi ha cambiato un po’, ma mai niente di drastico. Sono una persona molto realista, con i piedi ben saldi per terra; ogni giorno ho diverse aspettative e tanti sogni, però mi rendo conto che i giorni passano in fretta e finisce un giorno e ne ricomincia sempre un altro e sempre allo stesso modo, colazione e via… La sera puoi sentirti in paradiso ma, il giorno dopo, ricominci sempre da capo.

Le piace il nostro Paese?
Oh, I like Italia… e soprattutto la cucina italiana, è meravigliosa.

Il motto della vita?
Si può fare sempre di meglio, però si può anche sempre fare di peggio…

Sta lavorando a un pezzo nuovo adesso?
Sto lavorando ad un pezzo per coro misto e pianoforte e sarà eseguito questo autunno; poi sto scrivendo un brano per una banda del Lussemburgo, e ho appena finito una marcia per una banda giapponese.

Cosa è per Lei la musica?
E’ la mia vita… e sono felicissimo di poter condividere con tantissime persone quello che riesco a fare con la musica.
Sono un uomo fortunato ad avere la musica nella mia vita. Solo una cosa negativa: è molto semplice sentirsi la musica nella propria vita, però una vita non è abbastanza per fare tanta musica…

E per finire, il classico saluto agli Utenti di MondoBande.it… ma stavolta dal vivo, su YouTube.

https://www.youtube.com/watch?v=SEgPj7Gpk8k

(a cura di Carmelo D.)