Pandemia, bande via: ma finalmente ci siamo levati di torno il 2020.

Cosa dimenticare di questo anno bisesto, anno funesto, e cosa salvare?

8 Marzo.
In tutti gli anni “normali” è la data che corrisponde alla Festa della Donna. Per il 2020 (e per tutti gli anni a venire) sarà ricordato come il giorno che ha sancito il primo lockdown. La data dopo la quale TUTTO è cambiato e, per le bande, fondamentalmente tutto si è fermato.

Adesso, a quasi un anno di distanza, trarre un bilancio di cosa è stato “fatto” dalle bande, sembrerebbe facile: nessuno ha fatto niente, perché non ha potuto fare niente. Niente prove, niente concerti, niente musica d’insieme, niente rinfreschi, niente cene di S. Cecilia, niente feste estive. In realtà questi mesi hanno diviso le bande in 2 grandi gruppi (e uno piccolo).
I due “macrogruppi” sono costituiti da un lato dalle bande che hanno cercato di mantenere i contatti, di fare (grazie alle possibilità tecnologiche che il 2021 ci offre) gruppo, di realizzare qualche “prodotto” musicale; dall’altro, da quelli che si sono completamente fermati.

Non è stato assolutamente semplice: nelle province di Brescia e Bergamo, che costituiscono la mia “zona principale di attività”, quasi ogni famiglia ha avuto ALMENO un contagiato da Covid nella prima ondata, e la maggioranza delle famiglie ha avuto almeno un decesso. Si tratta di tante, tante perdite… e dato che in ogni banda ci sono presenti un certo numero di famiglie rappresentate, ogni banda è stata in maniera più o meno diretta colpita anche dal virus. E dato che il virus ha colpito principalmente gli anziani, significa che si è portato via elementi “storici” delle bande, persone che negli anni hanno contribuito a far vivere l’associazione, a formare (magari non musicalmente, ma sicuramente dal punto di vista sociale) i giovani che entravano nel gruppo. Perdite che pesano sul momento, e peseranno ancora di più alla ripresa.
Ma, nonostante tutto, molte bande si sono sforzate di non fermarsi. Innanzitutto si è pensato agli allievi, quei ragazzi curiosi e volenterosi che costituiscono il futuro delle bande. Come nella scuola “istituzionale”, anche le bande si sono adeguate alla DaD, la Didattica a Distanza; quella famigerata modalità, che tanti problemi ha presentato nella scuola pubblica, ha permesso in molti casi di personalizzare ulteriormente la didattica dello strumento (anche se la maggior parte dei devices utilizzati non era per nulla efficace dal punto di vista sonoro) e mantenere “in forma” gli allievi.
Abbiamo fatto tantissimi video a finestrelle da divulgare sui social, abbiamo fatto i flash-mob sui balconi, abbiamo fatto prove “sostitutive” on line (che si traducevano in una chiacchierata divertente, per tenere unito il gruppo, perché suonare insieme a distanza è ancora impossibile), e tutti abbiamo sperato in quell’ “andrà tutto bene”.

A Maggio, finalmente, pian piano si riapre: ci si può spostare, ma le prove non riprendono e le lezioni restano a distanza perché fidarsi è bene, ma…

In estate ci si prepara, si studiano protocolli di sicurezza e modalità di realizzazione delle prove, soprattutto grazie a studi specifici fatti all’estero, perché il silenzio della Musica ha colpito più o meno tutti. Viene steso, in collaborazione con il Politecnico di Torino, uno specifico protocollo operativo al quale molte realtà musicali (bandistiche e non) hanno fatto riferimento. Investendo parecchie risorse (che notoriamente le bande non hanno) si preparano schermi in plexiglas, macchine per la sanificazione degli ambienti, distanze, repertori dedicati (giacché comunque non è più possibile, per dimensioni delle sale prova, svolgere le prove tutti insieme rispettando i distanziamenti), il tutto in vista dei concerti di Natale, che DOVREBBERO sancire la ripresa, in qualche modo, delle attività.

E infatti a settembre si riesce, tra mille difficoltà, a tentare una ripartenza. Le lezioni ripartono in presenza (quelle singole); alcuni gruppi, i più fortunati che hanno una sala prove sufficientemente ampia, riescono a ricominciare a organico pieno. Altri si organizzano per lavorare a sezioni, nella speranza di riuscire prima del concerto a fare qualche prova tutti insieme per montare il programma; altri ancora organizzano il concerto in modo che lo stesso venga svolto a sezioni.

La voglia è tanta, tantissima: voglia di suonare, voglia di vedersi, voglia di normalità.
Ma il sogno dura poco, a fine ottobre si torna alla chiusura, spostamenti e assembramenti vietati. Lezioni consentite solo online, regioni “colorate”, che ci dicono fondamentalmente che di prove non se ne possono più fare, concerti tanto meno, lezioni consentite 1 a 1 e solo se zona gialla, altrimenti tutti da casa. Il baratro.
Questo secondo lockdown colpisce più duro del primo e ad oggi, a quasi un anno dall’inizio del macello, ancora non sappiamo SE e QUANDO potremo tentare di ripartire.

Tutto ciò vale per tutti, eccetto per quelli del sopracitato “terzo gruppo”, quello costituito dalle bande che hanno valuto “fare le furbe”, e che da settembre non hanno mai smesso di fare prove, e che hanno anche fatto dei concerti nel periodo delle Feste.
E qui mi si permetta uno sfogo: in Italia si suppone ci siano circa 5000 bande. La stragrande maggioranza di queste si è attenuta ai protocolli e ha rispettato le restrizioni. Poche, POCHISSIME, però, al grido di “i vigili ci hanno detto che possiamo” o “il sindaco ha dato il benestare”, hanno aggirato (secondo il famoso proverbio tipicamente italiano “fatta la legge, trovato l’inganno”) in malafede la norma. Perché tutti sanno che i vari DPCM potevano essere adattati dagli Enti Locali solo in maniera più restrittiva (e infatti, ove si è fatta interrogazione alle Prefetture, la risposta è stata lapidaria).
Ecco. Per l’ennensima volta, grazie a questi (fortunatamente) pochi soggetti, il mondo bandistico ha perso l’occasione di dimostrare compattezza e dignità; anche alla luce del fatto che questi “sprezzanti colpevoli” non hanno mancato di pubblicizzare sui social le loro attività, tronfi della loro capacità di aggirare la legge; salvo cancellare immediatamente i post quando qualcuno, nei commenti, chiedeva lumi, perché se la legge è uguale per tutti, allora tutti si potrebbe suonare, e invece no…

Nel frattempo, lo stop delle attività ha portato grossi problemi sotto altri punti di vista, più “materiali”. Sì, perché anche se le attività sono ferme, gli affitti e le utenze sono comunque da versare, gli insegnanti dei ragazzi, sebbene in DaD, sono da retribuire… Ma siccome la banda non svolge attività, non riesce ad avere i canonici proventi derivanti dai servizi e dalle manifestazioni e nemmeno i normali contributi comunali o provinciali, che a causa della non-attività vengono ridotti o addirittura cancellati.
Ristori? Ovviamente nulla, e tra l’altro il blocco non ha interessato solo le “bande in senso stretto” e i maestri: ha colpito anche i venditori e i riparatori di strumenti, ha colpito gli editori, i siti web specializzati (…), ha colpito pesantemente anche le singole comunità.

E il ragionamento, ora, si fa ancora più serio. Quando partiremo? Come? Avremo ancora gente con la VOGLIA di uscire per andare a suonare? Avremo ancora allievi su cui contare per il nostro futuro? I direttori e i direttivi, avranno voglia di ricostruire? Di rimboccarsi le maniche e mettere l’energia necessaria a far ripartire una macchina ferma da oltre un anno?
Perché sicuramente, a livello di performance, ci sarà un calo fisiologico dovuto all’anno di fermo, un anno in cui qualcuno avrà lasciato lo strumento in banda fermo, i cui pistoni non si muoveranno nemmeno più. Ma manche a livello organizzativo sarà tutto molto complicato.

Purtroppo risposte non ce ne sono. L’unica è quella che si rifà a una famosa canzone di Battisti: “Lo scopriremo solo vivendo”; ma speriamo di scoprirlo presto, perché più si aspetta e meno siamo sicuri che si possa davvero tornare a vivere.