La banda musicale vista dai musicologi – Prima parte

Pubblichiamo la prima di una serie di interviste con alcuni importanti musicologi coi quali affrontiamo l’argomento “banda musicale” e tanto altro

Negli ultimi mesi, su molti quotidiani e periodici nazionali, abbiamo avuto tutti modo di leggere tantissimi articoli che hanno trattato l’argomento banda musicale. Non tutti siamo rimasti contenti di come è stato affrontato, o delle risposte date da persone che con la banda non hanno nessun contatto, nè con la musica.
Nel mese di luglio sono stato presso il Dipartimento di Musica dell’Università di Palermo, e ho avuto modo di conversare con tre docenti dell’Ateneo, ognuno specializzato in un settore diverso, con i quali abbiamo affrontato alcuni argomenti musicali, fra cui la banda.
Il primo incontro è avvenuto con il prof. Girolamo Garofalo, etnomusicologo dell’Università degli Studi di Palermo.

Buon giorno Professore, grazie di aver accettato questo incontro. Conosciamo meglio la figura del prof. Girolamo Garofalo, come nasce l’amore per l’etnomusicologia e qual è stato il suo percorso di studi.
Innanzitutto buon giorno  a te e ai vostri utenti. Ho iniziato ad appassionarmi alla tradizionale musica folklorica intorno ai 12 anni, era un periodo molto particolare. Quando ero adolescente vivevo il periodo del ’68 e, in quegli anni, per ragioni di movimento culturale e politico, c’era un grosso interesse per la musica tradizionale. Molte erano le trasmissioni televisive che si interessavano anche di musica popolare, per esempio Canzonissima, che riservò spazi sia per la musica pop tradizionale che per quella folklorica. Ma anche grandi compositori italiani si interessarono alla musica popolare, prendi per esempio Luciano Berio quando compose brani come Folk Songs e La Fabbrica illuminata. In questo contesto mi appassionai di musica popolare.
Nel frattempo andavano avanti gli studi: mi diplomai nel 1985 al Conservatorio e nell’86 mi laureai.

Negli ultimi anni sta portando un’attività di trasmissione culturale importantissima, i canti bizantini di Sicilia. Sono stati effettuati diversi concerti grazie anche alla collaborazione della banda di Mezzojuso, come è nata l’idea?
Ho cominciato ad occuparmi di musica dei bizantini, degli albanesi di Sicilia, già dal 1990. Per una serie di circostanze il mio destino si è incrociato col direttore del corpo bandistico di Mezzojuso, Salvatore Di Grigoli. Questo paese, assieme a Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, Santa Cristina di Gela e Palazzo Adriano, è uno dei cinque paesi di origine albanese: in alcuni di questi si parla tutt’ora l’albanese, in altri è scomparso. Tratto comune è la permanenza nella liturgia del rito greco-bizantino, all’interno del quale la musica ha un ruolo fondamentale.
Cosa c’entra la banda in tutto ciò? Per rivitalizzare l’attenzione nei confronti della musica bizantina, ma anche dalla considerazione che mancava un coro ben organizzato a Mezzojuso, il maestro Di Grigoli, che è un vulcano di idee, un trascinatore di giovani, dietro sollecitazione di uno storico locale, Pietro di Marco,  e del parroco locale, Papas Francesco Masi, alla domanda “Che dobbiamo fare visto che qui manca un coro?”, propose un concerto, programmando una rielaborazione delle musiche bizantine con la banda locale e un coro. Questo nacque come concerto di Natale, ma visto il successo e l’esito, originale ma anche qualitativamente di grande pregio, Salvatore Di Grigoli continuò a lavorare su questo orizzonte trascrivendo altri brani. Da questo contesto iniziò la mia collaborazione con Di Grigoli, nella stesura di programmi di sala migliori, e nella correzione dei testi, anche grazie alla collaborazione di un sacerdote di grande cultura, Papas Giovanni Pecoraro, collaborazione che ha prodotto la pubblicazione di un CD e numerosi concerti, non solo in Sicilia ma anche  a Roma e in Trentino.
L’operazione di Di Grigoli è stata rischiosa. Poiché il repertorio non solo è appartenente ai fedeli, ma anche ai sacerdoti e al vescovo, da un lato si è lavorato sotto un aspetto popolare, la banda, e dall’altro culturale, la liturgia:
mettendo insieme questi due aspetti si poteva correre il rischio di “profanazione”, in quanto veniva e viene eseguito fuori dal contesto liturgico; invece c’è stato un grande successo, spesso erano gli stessi sacerdoti a richiedere un’esibizione.
E’ un’ottima risposta ad un’esigenza che io credo si avverta in tutta la realtà bandistica, siciliana in particolare. L’operazione di Di Grigoli è significativa perché la ricerca di nuovi ambiti di espressione che escano al di fuori dei soliti stereotipi, nuovi ambiti di espressione che partono dal concetto di recupero di identità, non è divulgazione della musica pop, ma valorizzazione e diffusione di un identità locale. Mi capita, quando presento questi concerti, di dire che con questa attività i ragazzi possono dire a testa alta “Io sono Siciliano, di Mezzojuso e rappresento la mia cultura”, piuttosto che proporre un’immagine oleografica o provinciale o arretrata e legata a fenomeni di mafia o i classici stereotipi siciliani.

La banda come viene inquadrata dal punto di vista etnomusicologico?
Oppure: perché un etnomusicologo si occupa di bande? Intanto una prima risposta è in negativo. Un etnomusicologo si occupa delle bande perché i suoi studi riguardano tutti quei fenomeni musicali non studiati dalla musicologia che si interessa di musica colta. Siccome è un fenomeno presente nell’esperienza musicale della gente, l’etnomusicologia così come può occuparsi delle espressioni giovanili della musica pop e  di come essa viene fruita nella città, si occupa anche delle bande. Ma  ci sono altre ragioni. La prima è legata al fatto che la banda partecipa fortemente in molte occasioni festive soprattutto in ambito popolare, dunque espressione di un contesto celebrativo folklorico, basti pensare alle funzioni della settimana santa o le feste natalizie, o feste patronali o devozionali  in genere. Queste sono le ragioni per cui l’etnomusicologo si occupa delle bande.
E poi c’è un’altra ragione, non tanto nella funzione di complesso bandistico ampio, ma anche come complesso ridotto, che al nord chiamano “bandella”: in Sicilia è espressione di musica popolare folklorica molto presente nel territorio, non solo nelle feste patronali, ma anche nelle novene di natale. Quindi la continuità della presenza della banda o di piccoli complessi di fiati, che fanno comunque parte delle bande, sono assolutamente solidali con quelle che sono le manifestazioni della cultura tradizionale siciliana.

Molti compositori italiani come Ponchielli, Donizetti, Mercadante, ecc. hanno scritto per banda, così come lo hanno fatto stranieri come Berlioz, Franck Erickson, Holst o Hindemith… Secondo lei, quando si parla di musica bandistica composta da questi nomi, si può ancora parlare della banda appartenente al mondo popolare? O, come ho sempre sostenuto, la banda ha una doppia identità?
Ma certo. A parte l’aspetto colto e popolare, intanto il valore fondamentale della banda non risiede secondo me nel dislivello dei repertori che esprime, cioè una banda non è più importante di un’altra perché si occupa di Hindemith, e un’altra no perché sonorizza i suoni della settimana santa. Come etnomusicologo ritengo che la banda è importante in quanto banda, come fenomeno sociale. Come in passato, la banda è lo strumento più importante per quanto riguarda l’educazione musicale, in quanto colma una lacuna nel sistema scolastico, fornendo un’istruzione musicale che la scuole italiana, legata ad una triste condizione della musica italiana, non da. Quindi questa importanza sta al di là dal maggiore o minore livello del repertorio. Poi è uno strumento di aggregazione sociale, è un modo sano di stare insieme per i ragazzi e gli adulti. Per me è questa la cosa fondamentale. Poi, essendo per me la musica, musica  e basta, questa doppia faccia equivale alla mia doppia faccia, etnomusicologo che fino a prova contraria si occupa di musica colta. La musica è musica in tutte le espressioni.
Se mai il discorso, e capisco l’esigenza, è di far acquisire alla banda livelli qualitativi e ampliamento del repertorio musicale, sia di nuovi maestri che compongono in maniera consistente, come avveniva in passato, e poi di recupero di repertori storici. Questa contrapposizione non c’è. La banda si può esprimere ad altissimi livelli qualitativi, o modesti, ma la sua funzione sociale rimane sempre la stessa. Merito della banda, e questo lo sappiamo tutti, è stato il diffondere l’Opera capillarmente in tutti i paesi, e può continuare benissimo a diffondere una cultura musicale di alta qualità contrapposta ai quintali di immondizia che si sentono in televisione. Ben vengano anche quei direttori di banda che propongono opere, marce funebri, brani tradizionali locali, ma che cerchino anche di far conoscere il repertorio contemporaneo per complessi di fiati e bande, e di recuperare il repertorio passato, senza contraddizione di nessuna natura.

In questo periodo la banda è un cantiere aperto, ci sono tanti corsi di direzione, d’aggiornamento, molti concorsi, e diverse sono le  teorie e i vari modi di vedere la banda. Un dualismo divide alcuni addetti ai lavori: orchestra di fiati o banda musicale? Da un lato la banda tradizionale, dedita alle processioni, dall’altro i gruppi venuti fuori dall’esperienza anglosassone, orchestre formate e preparate all’interno di scuole. Qual è il suo pensiero?
Secondo me è un timore, la questione dei nomi è più che altro il desiderio di nobilitare la banda. Il pericolo dell’influenza del modello americano è tale e quale a quello sugli aspetti  della nostra esperienza di vita. Ahimè, assistiamo ad un prevalere dei modelli americani: certamente dal punto di vista musicale, la musica leggera italiana forse non esiste più, perché lo stile, il modello vocale e degli arrangiamenti è prevalentemente americano. Il modello della banda con majorettes è stato molto diffuso in Sicilia e  questo non è un modo tradizionale di porsi come banda.
Faccio un’analogia. Quando studiavo chitarra ci tenevo a dire in prima persona  “Io studio chitarra Classica”. E già sbagliavo, perché per musica classica si intende il periodo settecentesco, e la chitarra classica e il repertorio che studiavo io erano del periodo dell’Ottocento e contemporaneo. Questa volontà di attenzione, “io non suono una chitarra da strapazzo ma una chitarra importante”, era fortemente presente in quel periodo; ora non si dice più, adesso si dice “Ho studiato chitarra in conservatorio”, non c’è più bisogno di dire “classica”. Così la contrapposizione banda e orchestra di fiati è fatta solo di nomi. Poi un complesso di fiati magari può esprimere musica che apparentemente pretende di essere di più elevato livello e invece una banda esprimere un livello qualitativo maggiore di un complesso di fiati improvvisato, e anzi, devo dire che spesso i complessi di fiati che escono dai conservatori non sono superiori alla qualità di molte bande siciliane.
Dunque secondo me è una questione di nomi. Ma la questione reale invece è quella dei repertori, più che altro dell’ampliamento in tutte le direzioni, introduzione di nuovi repertori contemporanei e recupero di musica classica e romantica.

Ma quando parla di repertorio classico o romantico  intende trascrizioni di musica colta?
No, mi riferisco alle composizioni originali per fiati. All’epoca non c’era la banda intesa come oggi, e questo tu che sei un esperto lo sai meglio di me, che è erede da una riforma di questo secolo. Un’orchestra sinfonica moderna non può esprimere la musica di Mozart tale e quale. Le bande dovranno fare la stessa cosa, si orienteranno e moduleranno il loro organico in base alle diverse epoche. La banda può benissimo eseguire la musica del passato, basta non utilizzare l’organico di Vessella ma quello del periodo.

Nel momento in cui un direttore dovesse proporre un brano del passato, secondo lei dovrebbe operare con una trascrizione per una formazione bandistica moderna più vasta, o  mantenere l’organico originale trovandosi a  scegliere, come un allenatore di calcio, chi far stare in panchina?
L’ipotesi migliore sarebbe quella di riuscire addirittura utilizzare non solo l’organico, ma anche gli strumenti originali.

Però spesso  il maestro non vuole omettere strumenti anche non presenti nell’organico originale per non ferire l’animo dei proprio musicisti.
Se il maestro è bravo, e non rovina il pensiero originale del compositore, può provare a fare degli adattamenti: l’importante è che non venga stravolto il contenuto musicale dell’epoca, ma questo sta alla bravura e al buon gusto del direttore. Ripeto, a me sta più a cuore non tanto la questione della qualità, che attiene a giudizi sui quali non mi voglio esprimere in particolare, quanto l’importanza della banda come palestra formativa. Se una banda riesce a far conoscere Mozart in un paese dove normalmente un concerto sinfonico non viene eseguto, ben venga.

Lei ha parlato della banda come punto di incontro e soprattutto di aggregazione sociale fra giovani e meno giovani. Però, purtroppo, in moltissimi casi  la banda diventa luogo di scontro e argomento di lite fra i membri di un complesso bandistico, o addirittura si può assistere a discussioni fra gruppi bandistici, vuoi per invidie, vuoi anche per gelosie.
Questo fa parte della vita, non saprei cosa dire perché queste cose si evitino. Dipende dalle situazioni specifiche: sta al direttore e al presidente essere anche canalizzatori di energie positive ed educatori alla civiltà e alla convivenza. Di per sè la banda, per sua definizione, favorisce lo stare insieme della gente. Gli scontri, gli attriti, le invidie, fanno parte della vita: avviene nella famiglia, nei luoghi di lavoro, e non dovrebbe nella banda?
Dovrebbe essere la musica a nobilitare gli animi. È come lo sport, abbiamo visto tanti scontri e uccisioni, ma lo sport di per sé  rimane sempre una nobile attività sana, così come lo è la musica d’insieme e la banda. E poi non ci dimentichiamo che la banda è trasversale rispetto alle generazioni: la componente anagrafica delle orchestre non è come nelle bande, dove ci sono sia i bambini che gli anziani, e questo è un aspetto su cui spesso non si riflette.

A conclusione di questo incontro, voglio ringraziare il professore Girolamo Garofalo, per le sue meravigliose parole, e lo saluto affettuosamente.
Io ringrazio te per questa intervista e saluto tutti gli Utenti di MondoBande.it.

(a cura di Giuseppe S.)